Per il 70esimo della Liberazione. I fatti raccontati da un protagonista: Emilio Zanoni
Aprile 2015
Era stata una guerra dura, senza esclusione di colpi, per certi aspetti dolorosa, ma alla fine i ‘banditi’ ce l’avevano fatta: avevano dato un contributo fondamentale alla liberazione dell’Italia. I nazifascisti erano stati sconfitti, si poteva guardare al futuro con speranza. Sono passati 70 anni da quell’epopea, si è cercato di offuscarla in tutti i modi, mettendo in luce anche quegli aspetti poco chiari, ma la Guerra di Liberazione ne esce intatta nei contenuti, anche se nessuno nega la pietà per i morti o la chiarezza nella ricerca storica. E ha fatto bene il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a dire ‘nessuna equiparazione’. Il Comune di Cremona, l’Anpi, l’Anpc, l’Associazione Emilio Zanoni e l’Archivio di Stato di Cremona hanno deciso di celebrare il 70esimo della Liberazione con una pubblicazione, ‘Bandiere sul Torrazzo’ agile ma chiara, curata da Giuseppe Azzoni, e nella quale il cuore è il racconto fatto da un protagonista dei fatti del ‘45, Emilio Zanoni, socialista, membro del Cnl e poi sindaco di Cremona.
«La sensazione chiara, precisa, irreparabile della débacle nazi-fascista si ebbe a Cremona a cominciare dal pomeriggio del 22 aprile 1945. Da una decina di giorni il fronte meridionale dell’ottava armata britannica e della prima americana si era messo in movimento, con formidabili concentramenti di fuoco sulle posizioni difensive tedesche ...Ne seppe qualcosa la divisione germanica che, si era attestata proprio in quei giorni sulla riva del Po, dirimpetto a Cremona, tra i vestigi del ponte in ferro distrutto e il primo baracchino. La tempesta di fuoco distrusse e bruciò uomini, materiale, autocarri, bestie da soma. Siamo dunque alle estreme battute della guerra. La notte dal 22 al 23 aprile non apportò alcun mutamento nella situazione in città. In quelle prime ore dell’alba le formazioni partigiane del casalasco, ricevuti avvisi certi dalla sponda emiliana, già si muovevano all’occupazione delle caserme e all’azione. Nel pomeriggio del 23, verso le ore 17, il CLN provinciale si riunì nello studio dell’avv. Calatroni, in via Bertesi. Da Milano, col corriere del Psiup, erano arrivate le direttive da seguire per l’insurrezione generale. I primi spari dell’insurrezione in città si erano uditi in quel pomeriggio, provenienti dal popolare rione di S. Imerio. Qui giovani arditi erano già in azione. Verso piazza Castello e lungo l’attuale via Ghinaglia. Anche il 24 aprile trascorse in città calmo e tranquillo. Il Comitato di Liberazione, dopo una breve riunione nel pomeriggio del 24, si era aggiornato al dì successivo 25 aprile. Giungevano le prime notizie, incerte e confuse, che già in talune zone della provincia i partigiani e i patrioti erano passati all’offensiva.
Il CLN, senza indugio, decise l’insurrezione generale della città per l’indomani 26 aprile alle ore 14. Nella sera e nella notte precedente le SAP, mobilitate dai rispettivi comandi. Formazioni partigiane della provincia, specie della zona Vescovato - Isola Dovarese - Drizzona - Ostiano (Brigata Garibaldi ‘Cerioli’ comandata da Arnaldo Uggeri e 2a Brigata Matteotti) che erano le meglio armate ed addestrate tra quelle a disposizione del Comando, iniziavano la marcia di avvicinamento alla città. La mattinata del 26 era grigia, fredda, nebbiosa.
Le squadre patriottiche, prima ancora del segnale, entravano man mano in azione in tutta la periferia cittadina. Un maresciallo delle brigate nere volle resistere ad essere disarmato e venne abbattuto da una scarica di mitra. Sopravvenne, alla sparatoria, ancora una pattuglia fascista ma venne dispersa. Si attuò una serie di colpi di mano e di attacchi nell’ampia zona compresa tra via Altobello Melone, via Giordano e via del Sale. Anche le altre squadre patriottiche erano in movimento. Nella mattinata la SAP di Porta Po compiva un colpo di mano sulla caserma della polizia sistemata in via Colletta. Questa SAP si spostava poi lungo l’argine del Morbasco attendendo l’ora dell’attacco. Qualche sera prima la SAP dei ferrovieri matteottini aveva compiuto, guidata dal bravo Carlo Granata, un’azione contro un nucleo fascista sistemato nel ricovero dei vecchi a Castelverde. Il nucleo si era arreso. Una mitragliatrice andò a finire nella zona di S. Michele dove, nei giorni della lotta, tenne sotto il suo fuoco i tedeschi che cercavano di passare. Notevole la SAP matteottina della Cavalli e Poli che si era dotata di armi automatiche. Dal comando delle Garibaldi, sistemato in casa di Carlo Granata in via dei Platani, partivano le staffette per la mobilitazione dei loro nuclei. Così Giustizia e Libertà e Fiamme Verdi mobilitavano i loro elementi. La mattina del 26 il CLN di Cremona era convenuto in casa di Gino Rossini, in piazza Castello. La riunione venne interrotta da una telefonata. Il ‘Capo della provincia’ (prefetto repubblichino Vincenzo Ortalli), aveva chiesto a Mons. Cazzani, arcivescovo della città, che lo si mettesse in comunicazione con rappresentanti del CLN. Il tenente Ottorino Frassi, commissario delle brigate si recò immediatamente al palazzo vescovile. Una delegazione venne subito introdotta nell’ufficio di Ortalli. Quel mattino del 26 Ortalli doveva avere ben compreso la situazione. L’insurrezione era già vittoriosa a Genova, a Torino, a Milano.
Era finita pel fascismo. Agli uomini del fascismo non restava che la via dell’accordo con quegli avversari che fino al giorno prima avevano trattato come banditi e fuorilegge. La riunione fu rapida e con una certa qual formale cortesia... Farinacci, poco dopo mezzogiorno, partiva per sempre dalla sede del suo giornale su un’automobile carica di valigie e bauli. L’incontro con Vincenzo Ortalli si concluse con un accordo di massima: offriva la resa senza condizioni. I militi fascisti, non colpevoli di reati comuni o comunque non responsabili di fatti contrari al codice e all’ordinamento statale, sarebbero stati rispettati. Alla periferia i concentramenti partigiani ricevevano rinforzi dalla provincia. Le vie centrali erano sgombre di fascisti. Verso le 13 la colonna Farinacci partiva dalla zona centrale. Scariche di mitraglia si avvertivano da case prospicienti i giardini pubblici. Alle 14, l’ora segnata dell’azione, le campane delle chiese si misero a suonare. Entravano le colonne partigiane dai posti di periferia dove si erano concentrate. Con l’arma spianata, attenti ad ogni allarme, i partigiani della provincia e i giovani della città avanzavano. Risuonavano già gli applausi della gente che si faceva alle finestre e sui portoni. Mazzi di fiori e lacrime di gioia accoglievano i volontari della libertà. Qualche tedesco in fuga circolava nelle viuzze. I fascisti erano scomparsi dalla circolazione. La resistenza fascista, quasi ovunque, era nulla. Nella stessa villa Merli, dove alloggiavano sicari e seviziatori, non c’era più nessuno. Nella zona di Porta Venezia - S. Michele, oltre il crepitio delle fucilate contro ultimi nidi di resistenza fascista. La SAP di Porta Po si avvicinava alla città con l’armamento recuperato nella mattinata. Nelle tarde ore del 26 aprile la battaglia per la liberazione della città consisteva in una serie di scaramucce e scontri a fuoco contro gli ultimi nuclei fascisti.
Su Torrazzo in segno di liberazione venne issata una bandiera bianca, ma ben presto venne sostituita con un Tricolore». Cremona era tornata libera.
S.E.C. Spa – Divisione Commerciale Publia : P.IVA 00111740197
Via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona : Via Cavour, 53 - 26013 Crema : Via Pozzi, 13 - 26041 Casalmaggiore