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LA STAGIONE DI INFINITY 1

«La voce e la chitarra con uno sguardo al folk»

Venerdì 12 dicembre 2025 i Negrita fanno tappa a Cremona con il loro 'Canzoni per anni spietati tour'

Luca Muchetti

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06 Dicembre 2025 - 05:15

«La voce e la chitarra con uno sguardo al folk»

CREMONA - È il loro album più rock e arrabbiato, ma le radici - assicurano - sprofondano nel folk. I Negrita tornano a Cremona venerdì 12 dicembre all’Infinity 1 (ore 20.30) per una nuova data del loro Canzoni per anni spietati tour, un lungo giro d’Italia che si chiuderà il 19 e 20 dicembre ad Arezzo, città natale del gruppo.

Insieme ai tre membri storici della band - Paolo ‘Pau’ Bruni, Enrico ‘Drigo’ Salvi e Cesare ‘Mac’ Petricich - ci saranno Giacomo Rossetti al basso e cori, Guglielmo Ridolfo Gagliano alle tastiere e Cristiano Dalla Pellegrina alla batteria.

Un tour urgente quanto lo è stato l’album, intriso di attualità, denuncia e furore. Ne abbiamo parlato con Pau, che torna in città a sei anni dall’ultimo concerto dei Negrita, allora tenuto in piazza del Comune.

Con che stato d’animo si sale su un palco nel clima plumbeo che ormai da qualche anno ci avvolge?
«Come si sale non lo so dire, ma si sale. Lo si fa perché questo album lo abbiamo scritto e lo vogliamo portare alle orecchie del pubblico. Su questo disco c’è una più alta concentrazione di tematiche legate al sociale e al politico, ma da sempre ci siamo occupati anche di temi di questo tipo. Stavolta la situazione è particolarmente pesante e ci siamo sentiti quasi in dovere di dare una nostra lettura delle cose che stanno succedendo in Italia e all’estero. Lo facciamo… con la voglia di farlo, visto che veniamo da una generazione che fin dagli anni Novanta alcuni temi li ha sempre voluti affrontare. E ancora di più le generazioni precedenti la nostra».

Perché nel pop e nel rock italiani, proprio dagli anni Novanta che lei citava in poi, l’attualità sociale è andata affievolendosi?
«Forse è il segno dei tempi: il disinteresse per la politica è globale e lo si vede dal partito di maggioranza, cioè l’astensionismo. La società tende a non occuparsi troppo di determinate cose perché la fiducia per la classe politica non c’è più. I figli di queste generazioni hanno un atteggiamento ancora più disinteressato. Ogni tanto qualcuno tira fuori qualcosa che somiglia a una critica, ma mi pare che la società occidentale sia ormai rivolta completamente all’individualismo, all’apparenza e alla ricerca spasmodica del successo legato agli algoritmi».

La presenza, nell’album, di due canzoni come Song to Dylan e la cover di Viva l’Italia di De Gregori rimanda al mondo del folk e della canzone d’autore e di protesta. È un riferimento che volevate evocare?
«Tutto è partito da un atteggiamento folk. Le cose da dire, dopo sette anni che non pubblicavamo un album, erano tante. Dovevamo concentrarci più sulla parola che sul sound stavolta e infatti le composizioni sono nate per lo più con la voce e una chitarra in mano. C’era tanta voglia di scrivere strofe che significassero qualcosa. Il passaggio al folk migliore che abbiamo sentito nella nostra vita - e cioè quello americano degli anni ’60, e poi negli anni ’70 anche in Italia - è stato naturale, una specie di faro. Tutto poi è passato per le mani della band. L’attitudine folk si sente molto meno negli arrangiamenti delle canzoni, ma la composizione lo è stata. Passare a De Gregori è stato facile, Francesco ha avuto Dylan come musa ispiratrice. Non è stato un semplice gioco di assonanze musicali, ma in fondo al disco ci siamo detti che sarebbe servita una nota in continuità con le nostre canzoni ma con delle note positive. Viva l’Italia per noi è sempre stato un inno a questa terra sciagurata nel bene e nel male».

Dopo trentun anni di carriera il viaggio rappresenta ancora una fonte di creatività per i Negrita?
«Lo rappresenterà sempre: abbiamo avuto così tante esperienze di questo tipo che ci hanno cambiato il Dna. Ora non ci serviva quel tipo di avventura, avevamo tutte le idee già in testa e davanti agli occhi».

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