18 Luglio 2025 - 10:06
L’immagine di un palazzo della banlieu parigina
CREMONA - «Probabilmente è la traduzione più complicata che ho fatto. Mokhtar Amoudi ha una lingua incredibile, molto ricca e difficile da rendere»: parola di Elena Cappellini, traduttrice cremonese (tra i suoi autori Leïla Slimani, John Le Carré, Simone de Beauvoir, Pierre Lemaitre), oltre che comparatista, autrice di svariate pubblicazioni e curatrice di rassegne culturali. L’ultimo romanzo da lei tradotto è Le condizioni ideali, edito in Italia da Feltrinelli. È un esordio letterario che in Francia ha fatto molto rumore. Il libro è stato infatti selezionato per i premi Goncourt e Renaudot, e si è aggiudicato il Méditerrranée Opera Prima e il Goncourt des détenus. Ma soprattutto ha raccontato dal di dentro la vita di un ragazzino cresciuto nella banlieu parigina, preso in carico dai servizi sociali e sballottato da una famiglia affidataria all’altra, aggrappato al dizionario come a un salvagente: «Il Larousse era la Bibbia - scrive -. Ci trovavi spiegato il mondo intero».
«È una storia fortemente autobiografica - spiega Cappellini -, lui stesso dice di essersi raccontato all’80 per cento. Per affinità, molti critici hanno paragonato Le condizioni ideali a La vita davanti a sé di Romain Gary, al punto che io stessa avevo molte aspettative, che ho un po’ ridimensionato. Gary ha scritto un capolavoro, Amoudi un bel romanzo, che però può farci riflettere». Skander, il protagonista, non è orfano ma è come se un po’ lo fosse. La madre è sempre sul bilico della legalità, vive di sussidi e si accompagna per lo più a uomini sbagliati. La prima ad accogliere Skandar è ‘zia’ Nicole, ma il cancro se la porta via e il ragazzino finisce a casa di ‘zia’ Khadijia.
«Khadijia è di origine marocchina, la mamma di lui è algerina ma Skandar non ha mai conosciuto la cultura araba e si sente francese a tutti gli effetti - dice la traduttrice cremonese -. Quando viene mandato in moschea, non sa cosa fare e cerca di adattarsi, è traumatizzato dalla circoncisione. Ha uno sguardo profondo sul mondo che lo circonda e sugli adulti che si prendono cura di lui, ma mantiene uno sguardo innocente, da bambino. Le sue non sono certo ‘le condizioni ideali’ da cui partire - il titolo è evidentemente ironico -, ma Skandar riesce a farcela. I servizi sociali sembrano inanellare un errore dietro l’altro e il mondo adulto in generale non ci fa una gran bella figura, però questo ragazzino è accompagnato dallo Stato fino all’università. Amoudi lo scrive anche nel libro, studia giurisprudenza. Lui ci mette del suo, però i servizi sociali lo portano alla laurea. Dubito che in Italia un bambino, un ragazzo che nasce in una situazione di tale difficoltà possa essere appoggiato e sostenuto in questo modo».
Malgrado gli errori e le cadute, i lavoretti troppo facili, il piccolo spaccio, la violenza delle baby gang, le risse, la galera da cui si salva solo per la clemenza di un giudice minorile. Skandar è un po’ come il Momo di Gary, il figlio color caffelatte de Il campo di nessuno di Daniel Picouly, l’Antoine Doinel de I 400 colpi di François Truffaut: i bambini ci guardano, ci hanno sempre guardato. Lui, Skandar, attraversa la vita come una grande avventura, regalandoci la sua visione ironica.
Restano due mondi separati, però. Da una parte le periferie - palazzoni enormi, centri commerciali uno dietro l’altro e «le idee architettoniche più brutte dell’uomo» - e dall’altra, a poche fermate di metropolitana, una città con l’anima, dove «i ponti hanno nomi veri, quelli dei grandi francesi o delle loro battaglie», ci sono viali alberati e nessun difetto. E dove un ragazzino di ascendenza magrebina non deve per forza rasarsi i capelli ai lati della testa per nascondere quei ricci riccissimi.
Ci sono poi, naturalmente, l’aspetto linguistico e quello editoriale. «Amoudi usa un francese non facile da rendere in italiano - spiega Cappellini -, ho fatto molto ricorso agli anacoluti per avvicinarmi al suo modo di scrivere. Per scelta della casa editrice i tempi verbali sono stati uniformati, ma Amoudi passa dal presente al passato al futuro con molta disinvoltura. È anche il suo modo di parlare, ha fatto la stessa cosa quando l’ho conosciuto a una presentazione. Non solo, a volte usa dei termini con un significato un po’ diverso da quello corretto. Skandar è sempre attaccato al dizionario, ma è pur sempre un bambino e quindi ci sono delle discrepanze. Il romanzo è ambientato nei primi anni Duemila, ci sono riferimenti espliciti all’attentato alle Torri gemelle e alla guerra in Iraq, ma non si parla della rivolta delle banlieu del 2005. Per questo non ho usato i ‘fra’, i ‘bro’ che si usano oggi tra i ragazzi: il romanzo di Amoudi è contemporaneo, ma racconta di cose successe una ventina di anni fa».
La lingua pirotecnica e fantasiosa di Amoudi (nella foto) è una sferzata di energia, «che purtroppo in Italia manca anche a livello di temi. Autori come Amoudi, francesi ma con un un background culturale diverso, sono protagonisti della scena letteraria - sottolinea Cappellini -. Da noi sono ancora pochi e più marginali nel panorama editoriale. Anche in questo la storia di Amoudi è particolare: racconta di aver parlato con alcuni amici del romanzo che stava scrivendo. Era in un bar, al tavolino vicino era seduta una consulente di Gallimard, che si è fatta avanti. So che ora sta scrivendo un secondo romanzo. Mi incuriosisce molto vedere se ha davvero talento oltre l’autobiografia».
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