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MONTEVERDI FESTIVAL 2025

Vespro della Beata Vergine: il ponte fra umano e divino

San Marcellino si è accesa per Savall, solisti e coro in una esecuzione grandiosa e commovente. Otto minuti di applausi

Giulio Solzi Gaboardi

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08 Giugno 2025 - 09:10

Vespro della Beata Vergine: il ponte fra umano e divino

CREMONA - «Si preannuncia un mese meraviglioso, ricchissimo, colorato, nel nome del cremonese Claudio Monteverdi. Un appuntamento ormai di respiro internazionale per celebrare un grande patrimonio di tutti: la musica. Buon Festival e viva Claudio Monteverdi!».

Sono le prime parole di Andrea Cigni, all’apertura del suo ultimo anno da sovrintendente del Teatro Ponchielli e direttore artistico del Monteverdi Festival. Le parole tradiscono una certa emozione da parte di chi ha presto per mano il Festival e l’ha reso, in questi anni, la grande manifestazione internazionale che è oggi. Il preludio della 42esima edizione del Festival è, come vuole una ormai consolidata tradizione, il Vespro della Beata Vergine. San Marcellino si è dunque accesa, ieri pomeriggio, si è fatta bella, accogliente, barocca — è il caso di dire —, e ha aperto le sue porte al pubblico cremonese e non, accorso in massa (un sold out annunciato pochi giorni dopo l’apertura delle vendite dei biglietti) per Jordi Savall.

È da quarantacinque anni che Savall esegue il Vespro e sarebbe complesso trovare un’esecuzione identica all’altra. Confrontando l’esecuzione di ieri con alcune sue importanti registrazioni del passato, si coglie chiaramente come permangano alcune stelle polari come chiarezza del suono, tensione teatrale e compattezza del canto. Ma è altrettanto evidente come sia avvenuta una profondissima maturazione sia nella concertazione che nella direzione. Queste, oggi, appaiono tutte orientate al raggiungimento di un apice massimo di sacralità a scapito di manierismi e virtuosismi certo appariscenti ma lontani dalla limpidezza e dalla purezza del concerto di ieri. Insomma, la grandiosità (che pure non manca) è facile da raggiungere; la commozione di ieri sera, no. La direzione è sempre incisiva e precisa, ma al contempo morbida e vellutata, quasi affettuosa e paterna.

Nella sua sostanziale esiguità, l’ensemble Le Concert de Nations riempie la sala di suono con facilità e brillantezza, sostenendo solidamente le parti vocali, che in questa Missa sono certamente la componente di maggiore responsabilità ed efficacia espressiva. Solisti e coro della Capella Reial de Catalunya sono figli della filosofia esecutiva di Savall: cesellamento della parola, lucentezza del fraseggio, pulizia e omogeneità di suono. L’organico della Capella Reial vanta alcuni dei maggiori esperti del repertorio barocco, capaci di giostrarsi fra sonorità antiche e strumenti originali, nel segno della prassi storicamente informata che da decenni guida studio e lavoro di Savall e i suoi. La variabile d’errore che inevitabilmente insidia lo strumento antico conferisce ancora maggiore sensazione di Verità a un Vespro che realmente crea un ponte tra uomo e divino.

Squillante l’Intonatio (Deus in adiutorium) scandita dal baritono Mauro Borgioni (protagonista nel Ritorno di Ulisse in patria che aprirà ufficialmente il Festival venerdì), cui fa eco un impeccabile Responsorium a sei voci. Delicati pianissimi chiudono il duetto femminile di Pulchra est, dove emerge il limpido e morbido timbro del soprano cremonese Anna Piroli. Semplicemente commoventi le battute finali di Laetus sum, di straziante intensità drammatica. Agile e potente il concerto a tre voci tenorili Duo Seraphim. Solenne l’attacco del Nisi Dominus, sostenuto da un suono sempre controllato e ben accentato.

L’Audi Coelum successivo ricalca il tópos tipicamente barocco e rinascimentale dell’eco fuori scena (basti pensare all’Orfeo di Monteverdi, di soli tre anni precedente). L’ultima parola di ogni strofa soavemente intonata da Borgioni, in un apice di vertiginosa teatralità, riecheggia in cantoria per poi tuonare a sei voci nelle ultime battute. Quest’ampia sezione dialogica è manifesto dell’evidentissima tensione teatrale che pervade tutta la produzione monteverdiana, compresa quella sacra. Estatico, Borgioni consacra l’Audi Coelum con un ‘miseris solamen’ e quasi sussurrato, mirabile: un sospiro. Qui sta tutta l’arte di chi vince sul palcoscenico e sull’altare, in quella doppia preghiera che, secondo Sant’Agostino, era il canto.

In un trionfo di cornetti e trombe, i soprani intonano la Sonata sopra Sancta Maria. Segue l’inno Ave Maris Stella, per far strada alla grande conclusione della messa: il Magnificat. Capolavoro di architettura e luce, l’immenso Magnificat eleva il pubblico fino al vertice d’estasi mistica del Gloria, che chiosa, come scritto dal divin Claudio, con «tutti gli strumenti et voci, et va cantato et sonato forte». All’Amen finale, un minuto di sacro silenzio, prima di esplodere in boati e applausi, in una lunghissima standing ovation tributata a tutti gli interpreti. Al termine degli otto minuti di applausi, il presidente della Fondazione Monteverdi, che ha regalato l’edizione critica del Vespro a Savall, il quale ha a sua volte ringraziato i suoi musicisti e il Festival «per ricordarsi di Monteverdi, uno dei più grandi compositori di tutte le epoche».

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