13 Aprile 2025 - 10:21
Alexander Lonquich ieri sera al Museo del Violino. A destra il direttore artistico Roberto Codazzi(© Salvo Liuzzi)
CREMONA - «Nicht Bach, sondern Meer sollte er heissen», cioè «Non bisognerebbe chiamarlo ruscello (in tedesco, Bach), ma mare». Le parole di Beethoven dedicate al Kantor riecheggiano nella presentazione del direttore artistico dello StradivariFestival, Roberto Codazzi (nella foto), per l’ultimo concerto della rassegna Il Pianoforte, che anticipa il festival dedicato al liutaio cremonese, che «quest’anno comincerà — ricorda Codazzi — il 30 aprile, con l’esecuzione di tutti i Concerti Brandeburghesi di Bach».
Ma il protagonista della serata di ieri è stato il pianista tedesco Alexander Lonquich, con un programma che, a partire dalla carica innovatrice (e mediatrice, per così dire, tra Bach e i posteri) di Carl Philipp Emanuel Bach, il più talentuoso dei tredici (di cui quattro musicisti) figli di Bach.
Da subito folgorante con la Sonata in re maggiore Wq 65/47, dai sapore jazzistici. Una proiezione protoromantica si fa strada nella Fantasia in fa diesis minore Wq 67, quasi anticipando le Sonate beethoveniane: Lonquich gioca con sapienza su dinamiche chiaroscurali tra delicatissimi arpeggi e acrobazie funamboliche.
L’incisività del fraseggio non rinuncia mai a una suadente morbidezza di suono, come dimostra l’impeccabile interpretazione della Sonata in mi maggiore op. 109 di Beethoven in cui l’assoluto controllo del suono trova espressione naturale in una sconvolgente morbidezza dei pianissimi, quasi sussurrati, ma capaci di riempire la sala di soavissime sensazioni, risolte in crescendi che paiono affreschi di colori sgargianti.
Non in secondo piano passa l’aspetto virtuosistico, certo non fine a se stesso, bensì poggiato su solide fondamenti interpretative, tutte volte a un esito galvanizzante della melodia.
La seconda parte del concerto vede l’esecuzione delle Novelletten op.21 di Robert Schumann. Attacco fulmineo per il Marcato e forte, con risoluzione in un crescendo emotivo giocato principalmente sulle accentazioni. L’Estremamente rapido e con bravura lascia sgomenti. Il Molto vivace (terzo movimento) è un’esplosione vera e propria di passioni e colori.
Se nelle Novelletten Schumann aveva trovato l’esito spensierato (e riuscitissimo) di una matrice creativa quasi improvvisa, Lonquich fa di questa ispirazione congenita il principale carattere esecutivo: tutto in queste novellette è espresso nel nome di un rilascio emotivo quasi favolistico, e l’impronta è fantastica, come un pensiero che corre leggero e allegro nella mente, una nuotata nel mare fresco dell’immaginazione.
È questo l’esito di una tecnica solidissima al servizio di un vero e proprio genio interpretativo. Per dirlo in parole povere: un trionfo romantico nel vero senso della parola. Risulta dunque facile, nel corso del concerto, dare un significato al programma, rintracciando in Bach figlio il prototipo dello spirito inventivo tastieristico rintracciabile in Beethoven e Schumann.
Scappano anche applausi tra un movimento e l’altro, che Lonquich accetta sorridendo e ringraziando un pubblico (con Sergej Krylov tra gli spettatori) attento ed entusiasta.
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