+39 0372 404511

Cerca

IN SCENA AL PONCHIELLI

Gifuni: «Il corpo di Moro dà scandalo ancora oggi»

L’attore mercoledì 26 nel monologo ‘Con il vostro irridente silenzio’. E giovedì 27 incontra le scuole

Nicola Arrigoni

Email:

narrigoni@laprovinciacr.it

25 Marzo 2025 - 11:47

Gifuni: «Il corpo di Moro dà scandalo ancora oggi»

Fabrizio Gifuni

CREMONA - È stato Aldo Moro nel film di Marco Bellocchio Esterno notte, ha vestito i panni dello statista democristiano anche in Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana: Aldo Moro per Fabrizio Gifuni è una magnifica ossessione, una figura su cui tornare e ritornare come accadrà domani sera alle 20.30 con il monologo Con il vostro irridente silenzio, in scena al Ponchielli per il cartellone di prosa.

Come nasce Con il vostro irridente silenzio?
«Nasce su commissione di Nicola Lagioia per il Salone del Libro del 2018 in occasione dei quarant’anni del rapimento Moro e andò in scena il 9 maggio, anniversario del ritrovamento del corpo dello statista in via Caetani. Lagioia mi chiese di lavorare sulle lettere e il memoriale di Moro. E così feci con la collaborazione di Christian Raimo e la consulenza storica di Francesco Maria Biscione e Miguel Gotor».

Avrebbe dovuto essere una data unica, poi cos’è successo?
«Mi sono appassionato, la risposta del pubblico e di coloro che vennero a vedere quella prima versione mi ha fornito un riscontro tale che ho pensato che fosse un peccato lasciar andare quei materiali e non approfondire».

moro

Il ritrovamento del corpo dell’onorevole Aldo Moro in via Caetani a Roma, il 9 maggio 1978

Da qui un lavoro che porta in giro da otto anni. Come mai?
«L’incontro con le lettere e il memoriale di Aldo Moro è stato un incontro potente, non solo per ciò che quei documenti significano, per la storia che raccontano, ma anche per la potenza della lingua con cui sono scritti. Di Moro molti ricordano il linguaggio a tratti fumoso, barocco. La lingua di Moro delle lettere della prigionia e del memoriale è tutt’altro, sa essere potente ed essenziale, secca e drammatica. Ciò che va in scena è un tradimento, degno di una pièce di Shakespeare, un tradimento che Moro racconta, denuncia al punto che non esita a scrivere a Zaccagnini: con il vostro irridente silenzio avete offeso la mia persona e la mia famiglia».

attore

Che lavoro ha fatto sulle carte dello statista per trasformarle in monologo?
«Ho cercato di dare un corpo a questi documenti che, paradossalmente, nel momento in cui sono stati resi pubblici, hanno rappresentato un rimosso collettivo. Sono stati presi in carico da alcuni storici o giornalisti d’inchiesta, ma per lo più tacciono. Il teatro serve a dare loro voce, a non perdere la memoria. Una memoria che non vuole essere passivo ricordo, ma invito ad agire, a prendere coscienza, a conoscere attraverso il rito della convocazione teatrale».

Sembra di capire che Con un irridente silenzio abbia un ruolo centrale nel suo lavoro di attore teatrale.
«Per me questo lavoro è una sorta di punto di approdo, è il lavoro più maturo di un percorso nato agli inizi degli anni Duemila con i monologhi condivisi con Giuseppe Bertolucci, ’Na specie de cadavere lunghissimo da Pasolini e L’ingegner Gadda va alla guerra, passando per le esperienze di Lehman Trilogy di Stefano Massini con la regia di Luca Ronconi e Freud o l’interpretazione dei sogni sempre di Massini con la regia di Federico Tiezzi. Molto spesso propongo il lavoro su Moro in abbinata con quello dedicato a Pasolini».

Che cosa li accomuna?
«A pensarci bene, entrambi ci hanno lasciato i loro corpi, sono i loro corpi, uno sul lido di Ostia e l’altro nella Renault rossa in via Caetani che tracciano una linea di demarcazione fra un prima e un dopo. Il prima era l’Italia che usciva dalla seconda guerra mondiale: quei due corpi segnano un confine e il dopo è l’Italia proiettata negli anni Ottanta con tutte le loro contraddizioni, fino ai nostri giorni. Con quei corpi dobbiamo ancora farci i conti. Il corpo di Moro è il corpo di Stato, è corpo scandaloso che ci interroga».

Quando si parla di corpo vuol dire, per un attore, parlare di sé e del suo stare in scena.
«Io mi sento un tramite, il mio ruolo è quello di dare corpo e fisicità alle parole di Moro. A differenza dei due precedenti lavori con Bertolucci, qui la mia fisicità è quasi immobile, eppure sento e percepisco una tensione che credo poi passi agli spettatori. Ciò che accade, quando e se accade, è il rito del teatro, fatto non solo dall’attore che recita un testo, ma anche e soprattutto di una comunità in ascolto e che partecipa a quanto accade in scena, lo fa emotivamente, col respiro che ad un tratto diventa un tutt’uno fra quanto accade in scena e chi sta in platea. È questo il motivo per cui il teatro resiste da duemila e cinquecento anni, è questo il motivo per cui è l’antidoto alla dittatura delle immagini, alla videocrazia e alla tecnocrazia».

Detto da un attore di cinema...
«Il cinema è un lavoro meraviglioso, ti permette di ridare vita a figure e realtà in maniera unica, ma io sento la necessità di ricavarmi in un anno il tempo per il teatro. Ne sento un bisogno fisico, il mio corpo lo richiede e non ci rinuncerei per nulla. Il teatro mantiene la magia di una convocazione comunitaria, insieme si fa memoria, una memoria attiva, che scuote, o almeno dovrebbe spingere ad agire. Il teatro è parola incarnata condivisa da una coralità, da una comunità. Per questo non muore e ci appartiene».


Giovedì 27 alle 10.30 nel ridotto del Ponchielli, Fabrizio Gifuni affronterà con gli studenti i temi presenti nello spettacolo: il memoriale e le lettere relative ai cinquantacinque giorni di prigionia di Aldo Moro, il periodo storico in cui si sono svolti i fatti, ponendo anche l’attenzione sul lavoro drammaturgico svolto nell’affrontare il testo. L’incontro è organizzato in collaborazione con il Porte Aperte Festival.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su La Provincia

Caratteri rimanenti: 400