STRADIVARIFESTIVAL: IL PIANOFORTE
09 Febbraio 2025 - 08:57
CREMONA - «Il pianoforte è un esempio di democrazia: tasti di colori diversi hanno la stessa importanza». Con questa battuta ‘di colore’ il direttore artistico del Museo del Violino, Roberto Codazzi, ha aperto le danze della prima edizione della rassegna pianistica dello Stradivarifestival, dedicata a Bach (e dintorni). Tanti dintorni, ieri sera, per Uri Caine, eclettico musicista e funambolico improvvisatore, che, a partire dalla mitica raccolta del Clavicembalo ben temperato di Bach («la Bibbia dei tastieristi» dice Codazzi, ed è difficile non concordare), ha sviluppato una serata tutta all’insegna di una delle grandi arti del Kantor: non quella della Fuga, bensì quella dell’improvvisazione.
Il punto di partenza è — ça va sans dire — Bach. La tendenza è sempre quella di mescolare, confondere, nascondere e infine esaltare i richiami bachiani (ma fanno capolino anche Mozart e altri), con una predilezione naturale per il Bach del Wohltemperirte Clavier. Caine ne smussa le solennità cercando di costruire un arco ‘narrativo’ unitario, che trova in Bach il mezzo ma non il senso, la via ma non la meta. L’esito è alterno: non perché sia blasfemo rimaneggiare Bach (anzi), ma perché si coglie, a volte, una certa difficoltà a dare coerenza formale all’esecuzione. Se Caine, infatti, gioca con indubbia destrezza sul proprio talento improvvisativo, lascia intravedere d’altra parte qualche lacuna nel disegno complessivo. Problemi comunque risoltisi col proseguire del concerto fino all’apoteosi finale. Vi sono infatti momenti riuscitissimi.
L’improvvisazione sul Rondò alla turca mozartiano, ad esempio, risulta pienamente convincente nel suo veleggiare tra il genio salisburghese e lo slancio al contempo casual e raffinato del jazz. In definitiva, Caine coglie nel segno laddove il brano conserva una forte attinenza e coerenza tematica (senza, peraltro, risultare ridondante). Soprattutto, laddove le perle bachiane e mozartiane, espresse nella loro interezza di significato, trovano comodamente posto in un piano espressivo compiutamente jazzistico. E qui viene fuori il vero portentoso maestro. Quello dell’agnizione, del riconoscere, cioè, i nuclei tematici portanti, si rivela a conti fatti un gioco entusiasmante, e molti dei temi principali risultano evidentissimi anche al folto pubblico, che segue con attenzione e coinvolgimento. Non il trionfo dell’erudizione che ci si poteva aspettare. L’aveva premesso Codazzi, prima del concerto, assicurando: «Scriveva Dante che la musica è rapimento, non comprensione. E poiché Bach è per la musica ciò che Dante è per la letteratura, lasciatevi rapire».
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