19 Gennaio 2025 - 05:15
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
(Gv 2,1-11)
Ci siamo lasciati alle spalle Epifania e Battesimo del Signore e ci imbattiamo oggi in una terza situazione che potremmo definire ugualmente… epifanica. Lo stesso evangelista Giovanni, nel chiosare il racconto del matrimonio a Cana, commenta che qui viene posto l’inizio dei segni, come se intendesse impostare tutto il racconto del suo Vangelo come una lunga esposizione di epifanie: parole, gesti, silenzi e posture di Gesù sono destinati a diventare la narrazione, la manifestazione dell’amore di Dio, sino al segno più grande, il ‘trono singolare’ della croce. L’inizio dei segni giovannei è ambientato in un tempo di gioia: la festa per un matrimonio. Immaginiamo la scena: giovani che sognano una vita in comune, immaginano una fecondità fedele, si scambiano una promessa. Tutti respiri che abbiamo nel profondo del cuore e che a volte la durezza della vita, con le sue delusioni e i suoi tradimenti, sospingono ancora più giù e ci inducono a scuotere il capo o ad invocare la disillusione.
Gesù con i suoi discepoli partecipa a quel nuovo inizio: è invitato a condividerne la bellezza e la forza. Ed anche questa cornice sicuramente non è una banale coincidenza: per Giovanni è strategico che i gesti di Gesù, addirittura la sua presenza, inizialmente secondaria, siano supportati da un clima di festa. Perché i Cristiani impareranno a considerare Gesù non solo come il profeta o il Cristo, ma anche come lo sposo che viene ad unirsi all’umanità, perché una nuova alleanza, paragonabile a quella sponsale, possa inaugurarsi e venire proclamata. A questo serve la cornice di un matrimonio: a celebrare il senso, il calibro, il peso specifico della presenza di Gesù e della fede in lui. Al contrario di quello che spesso si è pensato o si pensa! Quante volte, e quasi istintivamente, il Vangelo è stato ed è connesso ad una esperienza solo morale (i ‘divieti’ di una legge repressiva, antiumana) o a riti religiosi solo esteriori (si fanno cose, spesso le fanno i preti, ma non se ne comprende minimamente il senso!)… quante volte viene spontaneo accostare alla religione sentimenti come noia, paura, tristezza. Non a caso un formidabile (e nostalgico) sferzatore del Cristianesimo come Nietzsche era solito provocare i fedeli sulla loro (vera) esperienza della gioia, criticando i loro volti tristi e depressi, segni eloquenti che Dio allora proprio… non esiste!
Eccoci invece a Cana, un giorno qualsiasi, catapultati dentro un matrimonio, seduti ad un banchetto in cui rischia di venir meno il segno più eloquente della festa: il vino. Forse all’epoca non esistevano tante altre modalità né le feste erano destinate a degenerare nello sballo gratuito e volgare. Il vino, quello buono, era particolarmente apprezzabile, un ingrediente fondamentale. Sulla sua presenza e assenza, sul suo improvviso venir meno Giovanni costruisce l’inizio dei segni di Gesù. E si badi bene: segno e non immediatamente miracolo; impronta e rimando e non immediatamente fatto sconcertante, benché nel racconto trovi posto un fatto incredibile. Giovanni persegue uno scopo più grande: Gesù non sarà mai un mago, un prepotente dai poteri sconvolgenti. Sarà piuttosto lo sposo vero che rende possibile il ritorno della festa, la sua continuità. Sarà a lui che occorrerà chiedere di intervenire perché la precarietà e la provvisorietà non siano le uniche, drastiche padrone della gioia. Maria, la madre, svolge proprio il ruolo di catalizzatore di questo intervento. E nel suo «fate quello che lui vi dirà» rivolto ai servi che armeggiavano con giare piene di acqua, svela non solo il suo ruolo nella grande storia cristologica (Maria sarà sempre presente nelle decisive svolte della vita di Gesù), ma anche il ruolo di ogni discepolo e di ogni cercatore della verità. Perché ci sia festa vera serve riconoscere l’intervento dall’alto, serve che le ragioni della gioia non siano solo rivendicate, strappate o pretese, come purtroppo l’umanità è costretta a fare da secoli.
La festa autentica è quella che scaturisce dalla presenza di un Altro che la garantisce con la sua fedeltà, ricordando che la gioia conosce molti piani, alcuni più immediati, altri più profondi che richiedono un riconoscimento, un affidamento. Questo, molto più del miracolo da osteria di alto cabotaggio, è il vero inizio dei segni.
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