+39 0372 404511

Cerca

L'INTERVISTA

Cigni: «Qui l’essenziale è l’amore»

E' regista di Andrea Chénier: «In quest’opera c’è tanto di troppo, si deve saper togliere il non necessario»

Giulio Solzi Gaboardi

Email:

redazione@laprovinciacr.it

29 Novembre 2024 - 08:30

Cigni: «Qui l’essenziale è l’amore»

Andrea Cigni, sovrintendente del Ponchielli e regista

CREMONA - Finita la prova luci in sala, Andrea Cigni racconta Andrea Chénier, terzo titolo nella stagione d’opera che andrà in scena al Ponchielli stasera alle 20 e domenica alle 15,30. Di questa produzione, è proprio Cigni il regista.

Comincerei da una battutaccia. Si sente più Andrea Cigni o Andrea Chénier?
«Mi sento un po’ un Andrea Chénier, perché mi sento un rivoluzionario in senso buono. Una rivoluzione dolce quanto necessaria. È importante essere un po’ rivoluzionari e avere ideali che si cerca di trasmettere con la passione».

teatro

Un’immagine di Andrea Chénier, l’opera di Umberto Giordano con libretto di Luigi Illica che andrà in scena al Ponchielli questa sera alle 20 e domenica alle 15.30 (©Alessia Santambrogio)

Ma quest’opera, allora, è scritta bene o male?
«Secondo me è un’opera bella, sotto certi aspetti. Un’opera che diventa popolare grazie alla sua musica bella, ruffiana, ricca, sentimentale, che racconta e crea tante emozioni. Ed è ruffiano anche il soggetto. Descrive minuziosamente nei nomi e nei luoghi la rivoluzione francese. A un certo punto entra in scena Robespierre, e dunque ogni regista è costretto a rappresentarlo. Quest’opera ha tutti gli ingredienti tipici del melodramma: l’amore, il contrasto tra baritono e tenore, la morte vinta dall’amore. Ci dà speranze, ci insegna che l’amore trionfa sulle convenzioni e le differenze sociali».


In un’opera così storicamente connotata come Chénier esistono margini di originalità per il regista?
«Esistono secondo la chiave di lettura che si vuole dare. Non tutti i registi accettano di allestire quest’opera. La scelta sta nel concentrarsi o sul contesto storico o sull’evoluzione psicologica dei personaggi. L’obiettivo è raccontare un amore che non ha tempo e non ha luogo. E poi ci sono tanti accorgimenti di mestiere. Una scelta tecnica è stata usare quello che in gergo chiamiamo sipario ‘a ghigliottina’ (cioè il sipario nero calato dall’alto, come a tagliare la scena, ndr). In questo Andrea Chénier non si vedono le solite ghigliottine in scena. La scena viene spostata verso di noi, e la fine tragica di Andrea e Maddalena è rappresentata da un sipario nero che cala dietro di loro, lasciandoci davanti agli occhi il trionfo dell’amore».

Ma tre quarti dell’opera sono comunque impregnati di storia e influenzati dall’iperdidascalismo di Illica.
«La storia c’è, nella musica e nei personaggi. Si deve raccontare tutto questo, ma sapendo togliere ciò che non è essenziale. C’è tanto di troppo in quest’opera: tantissimi figuranti non indispensabili, ad esempio. E non bisogna aggiungere ‘altro’, cioè cose che non c’entrano niente».

Chi viene a teatro oggi può ancora riconoscersi in questa storia?
«Le rivoluzioni non sono per tutti, ma fanno parte dell’essere umano. In due momenti il pubblico verrà coinvolto direttamente: l’atto d’accusa di Gérard e il duetto finale di Chénier e Maddalena».

Parliamo un po’ dei protagonisti di quest’opera.
«Il più interessante, come spesso accade, è il baritono, Carlo Gérard. Attraversa molti stadi: l’amore per Maddalena, l’indolenza nei confronti del suo essere servo, prima della nobiltà e poi della rivoluzione, la lacerazione amorosa, e poi la crudeltà, l’invidia nei confronti della libertà di Chénier. Perché Gérard si sente un po’ poeta. Infine, la compassione e il pentimento. Mi sono sempre chiesto: dopo la morte di Andrea e Maddalena, Gérard cosa farà? Una cosa che peraltro mi chiedo alla fine di ogni opera».

E Chénier?
«Il tipico eroe romantico funzionale all’opera, con la sua sfera valoriale: patria, amore e onore. Non vive una grande evoluzione, e per questo appassiona più che altro la parte musicale».

Infine Maddalena.
«Quell’introduzione con il violoncello prima dell’aria di Maddalena, La mamma morta, è un colpo di genio. Chi lo ascolta per la prima volta non può non commuoversi. Maddalena vive un’evoluzione meno complessa rispetto a Gérard, ma dalla leggerezza iniziale già alla fine del primo atto inizia a essere consapevole di come quel mondo — quello dell’Ancien Régime — stia crollando».

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su La Provincia

Caratteri rimanenti: 400