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IL COMMENTO AL VANGELO

'No' doloroso al divorzio: le logiche umane cumulo di macerie

Non è lecito per Gesù ripudiare, mettere da parte, buttare via, in ragione della serietà di una storia d’amore che per sua stessa natura si costruisce nell’intimo di una sola carne

Don Paolo Arienti

06 Ottobre 2024 - 05:00

'No' doloroso al divorzio, logiche diverse

(foto realizzata con Canva Pro)

In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque, l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio». Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.
Mc 10, 2-16

La prima parte del brano che oggi le comunità cristiane incontrano, è famoso: è diventato nel tempo la fondazione di un “no” doloroso al divorzio, alla soppressione di un legame, quello coniugale, visto nella sua profondità come sacro, profondo, irreformabile. La sensibilità odierna, anche di molti credenti, è lontana dalla durezza di queste parole che nascono da un contenzioso con i farisei e non smettono di far discutere.

Gesù denuncia una grande tensione tra un progetto originario, specchiato nella prima coppia mitica di Adamo ed Eva, in cui l’amore coniugale si traduce in fusione, in una “sola carne”, in una intimità che lega per sempre due individui; e il ripudio che assomma tutte le rotture e le brutture che possono far esplodere un’unione. Al centro del ragionamento sta quel cuore indurito, sclerotico secondo il testo greco, che impedisce all’amore di essere reciproco, distrugge una unione e annienta un progetto di vita dichiaratamente condiviso: non è lecito per Gesù ripudiare, mettere da parte, buttare via, in ragione della serietà di una storia d’amore che per sua stessa natura si costruisce nell’intimo di una sola carne.

Nulla ovviamente si dice nel Vangelo delle ragioni del ripudio, di cui oggi esiste vastissima letteratura psicologica e giuridica. E nulla si aggiunge circa l’enorme sofferenza e il dramma che certe spaccature generano nel cuore degli “ex”. Basterebbe rivedere un bellissimo film di D’Alatri, Casomai (2002), che in termini molto laici e realistici getta una luce profonda sulla devastazione di una separazione, sull’interrompersi di un legame: la consunzione della relazione, la solitudine dell’incomunicabilità, il pianto dirotto di lui e di lei, lo strappo delle foto dei due insieme…

Se una certa superficialità cronachistica ci ha abituati a registrare tante separazioni e divorzi di illustri star, non dovremmo mai dimenticare il cumulo di macerie sotto le quali l’amore rischia di finire, trasformandosi nel fallimento più grande di un essere umano.

La durezza di Gesù appartiene alla logica della seconda parte del Vangelo di Marco, in cui i toni si irrigidiscono e in cui cresce lo sconcerto negli interlocutori. La conferma di questo radicalizzarsi delle parole del maestro ci proviene anche dalla seconda parte, apparentemente solo giustapposta: torna la “misura del bambino” e la sua serietà controfattuale a giudicare pensieri, relazioni, divieti e prospettive degli adulti, spesso preoccupati di proteggere e custodire. Il bambino che nella cultura antica, all’opposto di quella odierna, non poteva vantare alcun diritto sociale e familiare, viene confermato come il criterio di appartenenza, addirittura di possesso, del Regno, ovvero della forma con cui Dio ama gli uomini e il mondo.

Altra profonda e straordinaria radicalizzazione: ritenere che le logiche umane, quelle più appariscenti e strutturate dell’uomo che diviene adulto, che sa difendersi e realizza se stesso nell’autonomia, non siano esattamente il parametro con cui immaginare l’agire e l’essere di Dio, almeno per Gesù.

Il Vangelo richiama a tutt’altro ed insiste su di una nuova “misura” che rende le metafore classiche del mondo religioso, anche quello biblico, come la guerra, la potenza, la vendetta e la giustizia materiale, insufficienti a delineare la vita del Dio di Gesù Cristo: egli è altrove, è nel respiro dei semplici e nell’indifeso bisogno dei piccoli. Non perde, a quanto pare, la sua potenza né la sua alterità, ma decide di rivelare se stesso e il mistero del suo amore così. E sarà una questione di sua fedeltà agire di conseguenza.

Il suo Regno non potrà essere il luogo, la logica, il tempo di una giustizia distruttiva né un laboratorio di esperimenti squallidi sulla resistenza della pelle umana; sarà piuttosto la pienezza, per chi lo vorrà davvero, di un modo di vivere in cui la relazione, l’apertura all’altro, lo sguardo che benedice e le mani che si protendono non per rubare o violentare, ma per abbracciare, sono impronta di un amore più grande.

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