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IL COMMENTO AL VANGELO

Gesù moltiplica i pani e i pesci

Sfama il bisogno profondamente elementare, semplice e per ciò stesso essenziale di chi gli sta intorno

Don Paolo Arienti

28 Luglio 2024 - 05:10

vvvvvv

Dipinto dell'Ultima Cena di Jacopo Bassano, circa 1550-1560

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.
Gv 6,1-15

Nelle settimane più calde dell’anno lasciamo la lettura di Marco per far spazio a Giovanni. Altro stile, altre insistenze letterarie e teologiche, altre risonanze. Giovanni ama grandi e lunghi discorsi, messi in bocca direttamente a Gesù, perché lui è il Signore, il Figlio; ama anche incontri personali, diretti e fecondi, capaci di istruire un dibattito e illuminare la coscienza (così è stato per l’incontro notturno con Nicodemo; così pure con la Samaritana al pozzo…). Il capitolo 6 del quarto Vangelo sistema in un lungo episodio una catechesi su Gesù pane di vita. Come certamente ricorderemo, Giovanni non narra i gesti centrali dell’Ultima cena… il pane spezzato e il vino condiviso…, anzi offre la narrazione complementare della lavanda dei piedi che restituisce un senso ancora più scandaloso e chiaro a quel “per voi” che Gesù pronuncia.

Gesù afferma senza mezzi termini, scontrandosi con la cocciutaggine di Pietro, che il senso di quella cena, preludio, sacramento del sacrificio sulla croce è solo il servizio, l’amore gratuito, il desiderio che all’altro siano lavati i piedi con quel gesto di umiltà che era riservato ai servitori. E ad indicare che non c’è proprio alcuna contraddizione tra la narrazione solenne del prendete e mangiate, prendete e bevete da un lato e la lavanda dall’altro, ecco con largo anticipo il capitolo sul pane vivo, aperto dal brano odierno. Gesù appropria a sé questa categoria, questa metafora di pane vivo disceso dal cielo, di colui che viene mangiato, consumato, assimilato. Lo fa imbandendo una mensa di emergenza per una folla smarrita, accorsa da lui perché raggiunta dalla fama del guaritore, animata da uno spettro infinto di bisogni, alcuni legittimamente preziosi, altri più superficiali, come sempre accade nella vita, nella società che raccoglie storie e biografie le più disparate.


Gesù moltiplica il pane, ovvero sfama il bisogno profondamente elementare, semplice e per ciò stesso essenziale di chi gli sta intorno; crea le condizioni perché gli Ebrei presenti connettano quel gesto profetico al ricordo prodigioso della manna nel deserto; imbandisce la mensa perché chi vuole cogliere vada oltre il pane che sazia il corpo ed entri nella logica di un altro corpo da costruire, alimentare, mangiare nel senso di assimilare e mettere a disposizione. Procede con sicurezza: osserva, ordina, agisce, generando una sorpresa pericolosa tanto che alla fine del brano se ne vorrà andare, solo, sul monte, per evitare di essere proclamato addirittura re!


In quel luogo si siederà un sacco di gente di cui possiamo immaginare lo stato d’animo: un misto di incredulità, curiosità, messa alla prova e stupore per prodigi dal sapore straordinario. Molti meno si siederanno all’altra tavola e ancora meno coglieranno con trasporto il senso profondo della lavanda: meglio limitarsi alla sazietà materiale, meglio totalizzare una piccola ricompensa che soddisfi il qui e l’ora… piuttosto che stare dentro il segno, abitare il sacramento e arrendersi all’amore più grande. Ancora una volta i Vangeli ci presentano un motivo di scandalo, parole che possono essere equivocate, ben lontano dall’evidenza empirica che può evitare di accendere il cuore.


Quando i cristiani fanno la comunione, quando si inginocchiano davanti al pane eucaristico non compiono solo un gesto rituale né solo un gesto scaramantico, ormai quasi in disuso: celebrano una comunione di intenti, un legame, una disponibilità a non smarrire il senso di una donazione, anzi a farla propria. Con la moltiplicazione che apre il discorso sul pane vivo, Giovanni intende condurre il lettore dentro quel mistero. E lo fa recuperando tutte le suggestioni a disposizione: il segno del pane, il bisogno degli uomini, il rischio di essere trasformato in un re-taumaturgo, il senso da assegnare alla carne da mangiare. Caldo permettendo, questo capitolo 6 impegnerà parecchio chiunque voglia sintonizzarsi sul senso della vita di Gesù, con a disposizione una chiave straordinariamente efficace che sconcerta l’approccio solamente scientifico e libera le intuizioni della fede.

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