09 Giugno 2024 - 05:05
In quel tempo, Gesù entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé». Gli scribi, che erano scesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni». Ma egli li chiamò e con parabole diceva loro: «Come può Satana scacciare Satana? Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi. Anche Satana, se si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito. Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa. In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna». Poiché dicevano: «È posseduto da uno spirito impuro». Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo. Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre».
(Mc 3,20-35)
Accusare Gesù di essere posseduto può sembrare al lettore contemporaneo cosa inutile, un retaggio di una polemica religiosa antica da cui oggi siamo tutti affrancati. Eppure non è affatto così. La tentazione di normalizzare il male, nelle sue mille sfaccettature, facendolo magari passare per il “mio bene… il mio interesse… il mio benessere…” e considerare la forza inclusiva del bene troppo scomoda è affare spesso corrente. Ci si chiude in se stessi e rispetto a questa chiusura, che perimetra e tutela, gli effetti della pandemia di qualche anno fa hanno fatto da acceleratori di un processo che, purtroppo, rischia di disgregare la compagine sociale. Troppo sbrigativamente si accusano i più giovani di interpretare esistenze egoistiche, di succhiare il nettare da fiori piantati e coltivati da altri, ma il mondo adulto a volte non brilla di luce propria, e non sempre per colpe ascrivibili a responsabilità personali. Qualche forma di abbruttimento o di arretramento rispetto al bene comune, al servizio e all’attenzione reciproci spesso sono figli della complessità del vivere che spinge alla stanchezza, all’iperpreoccupazione e ad atrofizzare i gesti di cura e di presa in carico di un mondo che sembra troppo pesante da portare.
Anche il gesto, per i cristiani supremo, di abbracciare tutto e tutti con la croce da parte del Signore sembra solo un mito, solo una pia consolazione che maschera una illusione: ciascuno si tenga i propri guai, se li risolva da solo e… si salvi chi può! Chi ancora oggi, in una situazione ritornata più o meno normale e governata dai tassi di interesse e dal problema del lavoro e dei servizi, rivendica il “nessuno si salva da solo” appeso alle finestre in tempo di covid? Un antico salmo biblico, frutto di una letteratura sapienziale e orante a tratti spietata per realismo ed efficacia, si esprime così: “l’uomo nella prosperità non comprende; è come gli animali che periscono”.
Per questi motivi, qui solo brutalmente evocati, Gesù e il suo Vangelo appaiono anche oggi a qualcuno talmente sovversivi e stancanti da essere classificati come “satanici”. Gesù sembra uno “fuori di sé” che è meglio tener lontano, forse non solo perché la religione ormai è considerata vetusta e antagonista alla libertà, ma anche perché si intuisce un dovere più grande, un coinvolgimento che non lascia “via di uscita”.
E forse è vero che il Vangelo divide il cuore, perché lo provoca alla verità più vera, a superare i confini del proprio battito solo regolare e solo tranquillo; perché fuori, nel corpo sociale, presso i simili che vivono accanto a noi, urgenze ed emergenze accelerano la frequenza del cuore di chi sa e vuole amare.
Ed è per l’attaccamento a questa verità scomoda che sposta il baricentro della vita, che Gesù nella chiusura del vangelo odierno se ne esce con una affermazione paradossale, stranissima, tanto che rischia di suonare come ingrata: i suoi fratelli e sorelle, persino sua madre d’ora in poi saranno non quanti legati a lui per parentela, ma chiunque voglia compiere “la volontà di Dio”, ovvero riconoscere che la logica del dono e del volere il bene, agirlo e sperarlo è il cuore stesso di Dio. Le esigenze dell’altro riscrivono anche i livelli di vicinanza affettiva, li fanno come esplodere in un raggio d’azione il più ampio possibile. Tanto che questa pretesa sembra essere satanica, perché delude chi non capisce, allontana chi resta attaccato a se stesso e al ritorno degli affetti. In un altro Vangelo Giovanni dirà che il nome stesso di Dio è agape, amore gratuito che non dipende da una elezione né attende un ritorno.
È la gratuità la vera forza del mondo? Anche quando viene calpestata dalla prepotenza e dall’ingiustizia? Nella risposta a questo interrogativo si radica il carattere divisivo del Vangelo, troppo spesso ricondotto alla rigidità dei dogmi della fede, ma in realtà molto più tagliente e pungente, molto più efficace e discutibile. Lì, a questo livello, occorre arrivare: da parte di chi si ritiene credente e la domenica compone il corpo ecclesiale che celebra l’Eucaristia, ma forse anche da parte di chi si pone, ugualmente, davanti ai fondamenti dell’esistenza e ai richiami della coscienza.
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