13 Maggio 2024 - 10:33
Adelaide Ricci
CREMONA - Le stigmate come suggello della santità che si compie nel mimetismo cristologico. Le stigmate come dono. È da qui che parte il suggestivo studio ‘Apparuit effigies. Dentro il racconto delle stigmate’ di Adelaide Ricci, saggio che sarà presentato domani alle 16,30 in Biblioteca. Una sorta di metonimia, una parte per il tutto di un processo di santità che interroga storici e uomini di fede. Ed in merito la docente di storia medievale presso il Dipartimento di Musicologia e beni Culturali dell’ateneo di Pavia osserva: «Le stigmate nella biografia e nella storia di San Francesco in realtà restano assolutamente enigmatiche perché noi non possiamo in un certo senso avvicinarci davvero né alla biografia di Francesco né alla storia, ovvero c’è sempre una distanza tra il Francesco storico e Francesco delle fonti — spiega —. In questo caso le fonti che noi abbiamo non sono una biografia, ma diverse agiografie e le agiografie sono vite di un santo, vite raccontate o dipinte. Nello iato tra il personaggio storico l’uomo reale che cerchiamo di raggiungere e che inseguiamo e la sua immagine si pongono le fonti. In questo iato c’è lo spazio per la ricerca storica che non si chiede mai com’è andato un fatto realmente, non cerca la verità, ma si dedica alle ipotesi di lettura di un passato che ci interessa perché costruisce un percorso di sguardo anche nel nostro presente e questo nel caso di Francesco mi sembra particolarmente evidente».
In questa coesistenza fra tensione alla storicità e ipotesi che diano senso al passato ci si chiede come mai una ricercatrice storica parta forse dall’aspetto meno oggettivo della biografia di Francesco: le stigmate, ovvero l’irrompere del sacro nella quotidianità della vita del santo: «Questo mio interesse per le stigmate e in fondo per Francesco è nato leggendo San Bonaventura la cosiddetta ‘leggenda maggiore’ che è una agiografia tarda di Francesco. Francesco muore nel 1226 riceve le stigmate nel 1224 due anni prima di morire ed è canonizzato nel 1228 – spiega l’autrice -. L’agiografia di Bonaventura è dell’inizio degli anni 60, quindi tra le fonti agiografiche è di seconda generazione, perché dista una quarantina d’anni dai fatti. Ma Bonaventura da Bagnoregio è anche un autore straordinario, innamorato di Francesco e che ha costruito una biografia teologicamente molto salda, basandosi su tutte le fonti che aveva a disposizione».
Sono questi i presupposti storici del saggio che Ricci presenterà in Biblioteca, ma poi c’è un aspetto per così dire intimo che l’autrice ama evidenziare: «È stato leggendo la leggenda major di Bonaventura da Bagnoregio che ho cominciato ad affondare nel testo, cioè a fare un affondo e a rendermi conto che questo racconto era strutturato su aspetti linguistici e contenutistici molto precisi e che la struttura stessa del racconto le sue immagini erano un oggetto storico interessante. Questo aspetto mi ha sedotto e tirato dentro».
Per questo Ricci si augura che il lavoro di storica possa restituire «la ricchissima pluralità di voci e di sguardi che hanno osservato San Francesco. Lo sguardo del mio libro investe l’intero mondo medievale che ha incontrato e narrato Francesco – dice -: quindi dalle prime voci che l’hanno narrato, ancora lui vivente oppure dopo morto, ma comunque che l’avevano realmente percepito con i sensi, fino a quelli della seconda generazione appunto Bonaventura, ovvero coloro che si erano incontrati con chi aveva conosciuto dal vivo Francesco.
È questa una dinamica diciamo tipicamente medievale della credibilità delle fonti: la fonte diretta delle persone che hanno incontrato Francesco o quelle che hanno incontrato chi ha parlato del Santo in prima persona. Come dire fonte di fonte». «Spero che dal mio lavoro esca la coralità di questi sguardi – conclude Ricci -. Si percepisca la potenza dell’entrata improvvisa del trascendente nell’immanente, ovvero questo squarcio improvviso che permette a Dio di manifestarsi nella vita di un santo nel caso di Francesco in maniera eccezionale.
In questo senso le stigmate che sono l’oggetto del libro non lo sono in quanto oggetto fenomenologico cioè in quanto un fenomeno, ma lo sono se intese come immagine narrata.
Da qui il mio augurio che dal saggio non tanto l’immagine del santo, piuttosto la concretezza dell’oggetto storico dello sguardo su un santo».
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