12 Marzo 2024 - 05:05
La Francia ha inserito in Costituzione il diritto all’aborto e la notizia sta dominando il dibattito pubblico. Una scelta sicuramente d’avanguardia, che spicca in un mondo che sembra compiere solo passi indietro per quanto concerne lo stato dei diritti riproduttivi, sempre più violati dagli Stati Uniti sino all’Italia. Costituzionalizzare il diritto all’aborto significa permettere l’inclusione di persone con capacità gestazionali nel contratto sociale di un paese.
Una risposta forte a forme di Stato che per troppo tempo hanno basato il rapporto tra individuo e autorità sull’esclusione e sulla discriminazione delle donne. Tuttavia, a fronte di cambiamenti così importanti e radicali, serve chiedersi se sia questo ciò che è realmente accaduto in Francia.
La modifica approvata incide sull’Articolo 34 della Costituzione e si affermerà che ‘la legge determina le condizioni in cui viene esercitata la libertà, garantita alla donna, di ricorrere ad una interruzione volontaria di gravidanza’.
Se da un lato, la proposta iniziale della sinistra francese riguardava l’inserimento letterale del diritto all’aborto in Costituzione, il risultato finale vuole, al contrario, che in Costituzione vi sia entrata la libertà di ricorrere alle procedure di interruzione volontaria di gravidanza alle condizioni stabilite della legge. Il cambio di scelta semantica è opera della destra francese che, per poter votare favorevolmente alla modifica, ha ricondotto il tema dell’aborto nella propria comfort-zone, quella della libertà che svincola lo Stato dall’incombenza di tutelare appieno l’accesso a un diritto con interventi positivi.
La costituzionalizzazione, infatti, non fa venir meno né limita il diritto all’obiezione di coscienza del personale medico. Inoltre, questo passaggio, secondo diversi esperti e costituzionalisti, non ha fatto che cristallizzare l’attuale legge Veil del 1975 – fin troppo simile alla nostra legge 194/1978 —, specialmente nella connotazione negativa che entrambe attribuiscono ai diritti riproduttivi.
Similmente alla legge 194, infatti, dalla legge Veil emerge che l’aborto sia un fenomeno ‘semplicemente’ da far emergere dalla clandestinità, un male necessario, ma non un diritto fondamentale per l’autodeterminazione e la libertà delle persone con capacità riproduttive.
In un mondo, poi, che entra crescentemente in contatto con identità transgender e nonbinary, aver costituzionalizzato il solo accesso della donna alle procedure di interruzione volontaria di gravidanza significa aver inevitabilmente chiuso il dibattito senza alcuna possibilità di appello, ritenendo soggetto valido di discussione solo le donne riconosciute come tali.
Alla luce di tutto questo, siamo sicuri che ci sia solo da festeggiare? Certamente è una decisione politica e giuridica senza precedenti: è estremamente raro che eventi internazionali si riflettano in giurisdizioni lontane, ma la decisione statunitense del 2022 di rovesciare la storica sentenza Roe v. Wade negando che l’aborto abbia mai realmente avuto posto nella Costituzione a stelle e strisce ha portato a riflessioni normative in tutto il mondo.
Tuttavia, la frontiera di lotta reale è rappresentata da battaglie per l’inserimento della giustizia riproduttiva nelle nostre Costituzioni, che significherebbe rivendicare la centralità di tre pilastri capaci di superare i limiti oggettivi del diritto: il diritto umano di avere un figlio, di non avere un figlio e di fare da genitore ai propri figli. In comunità sicure e sostenibili.
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