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PENSIERI LIBERI

Le elezioni, appuntamento con la storia

L’Europa delle Nazioni è un concetto caro ai sovranisti per riprendersi le competenze fiscali ed economiche

Claudio Siciliotti (Commercialista già Presidente nazionale della categoria)

30 Gennaio 2024 - 05:10

Le elezioni, appuntamento con la storia

In uno dei momenti forse più difficili della storia contemporanea, in pratica l’intero mondo occidentale si appresta ad andare a elezioni (Europa, Gran Bretagna, Usa). La posta in gioco per noi europei è particolarmente rilevante. A differenza degli altri, infatti, si tratta di definire prima di tutto l’Europa che vogliamo per poi stabilire i passi concreti per raggiungere l’obiettivo. Il sogno del Manifesto di Ventotene di Ernesto Rossi, Altiero Spinelli e Eugenio Colorni del 1941 era quello del definitivo superamento della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani.


Seguito dalla costruzione di un nuovo organismo federale sovranazionale. Oltre ottant’anni dopo, quel sogno è rimasto in larga parte tale. A partire dal Trattato di Maastricht del 1992 si è dato vita all’Unione Europea e successivamente all’euro. Una moneta forte e di riferimento sull’intero panorama internazionale. Una moneta che ha consentito, in particolare a noi italiani, di mitigare il peso degli interessi passivi sul nostro consistente debito pubblico. Per non parlare della Bce che, con l’acquisto dei nostri titoli pubblici, ci ha permesso di poterlo costantemente rifinanziare. Per questo è praticamente scomparsa dal dibattito politico la richiesta di un’irrealistica Italexit.

Proprio perché l’appartenenza all’Ue si è rivelata una garanzia importante sia per poter acquisire le risorse necessarie per la ripresa post-pandemica che per contrastare le mire espansionistiche dell’imperialismo russo. Ma l’Europa politica sognata dai visionari di Ventotene resta ancora di là da venire. Oggi nell’impossibilità di negare i benefici derivanti al nostro Paese dall’appartenenza all’Ue, si parla con insistenza di una ‘Europa delle nazioni’. Con la giustificazione della necessità di rispettare le tradizioni e la cultura delle singole nazioni, si vorrebbe in realtà indebolire le istituzioni sovranazionali, rifiutando la supremazia del diritto europeo su quello nazionale.

Con i sovranisti dell’Ovest più interessati a riprendersi competenze in ambito economico e fiscale e quelli dell’Est assai più interessati a regolare internamente i fenomeni migratori, i rapporti di genere e il trattamento delle minoranze (sia etniche che sessuali). Per assurdo la voglia d’Europa vive oggi di più al di fuori dell’Europa che al suo interno. Vive nei migranti che in essa vedono quella promessa di libertà, di diritti umani e di opportunità di lavoro che non hanno mai conosciuto nei rispettivi Paesi di origine. Vive nei paesi che si candidano ad entrare nella Ue, che si percepiscono al di fuori più deboli e isolati, più esposti alle minacce delle nuove politiche di potenza che attraversano oggi il mondo. Ma l’Unione Europea è il risultato di una consapevolezza storica che va preservato e rafforzato, soprattutto per i paesi che la attualmente compongono e che, nel tempo, hanno saputo edificarne la costruzione.

Un continente in precedenza attraversato da sanguinosi conflitti ha saputo infatti diventare uno spazio pacifico, governato da regole ispirate ai valori della libertà e dei diritti. L’Europa, per oltre quattrocento milioni di persone, è oggi un mercato unico regolamentato che garantisce investimenti e collaborazioni tecnologiche e commerciali tra le varie economie aderenti. Le sfide dell’evoluzione del lavoro e dell’accelerazione dell’innovazione tecnologica, del rischio ambientale e della costruzione di un modello di sviluppo sempre più sostenibile richiedono un’Europa più forte e coesa. Altrettanto deve dirsi con riferimento ad uno scenario internazionale dove, anziché spegnersi, si accendono in continuazione nuovi focolai di guerra e di pericolosa instabilità.

Fuori dall’Europa e dall’euro il destino è la marginalità economica e politica. Più poveri e del tutto irrilevanti in campo internazionale. Non facciamo diventare queste elezioni e il dibattito che le precederà una vicenda prettamente interna, di mero riposizionamento di potere, soprattutto tra alleati. Il Manifesto di Ventotene si chiude con parole piene di volontà politica: «La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà». Facciamone anche oggi il motto con cui affrontare questo ennesimo appuntamento con la storia.

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