04 Maggio 2023 - 05:10
Andrea Cigni
CREMONA - «Il fatturato del teatro, inteso come valore complessivo della produzione, è aumentato nel 2022 di 858.986 euro rispetto al 2021, passando da 3.250.503 a 4.109.489 euro. Stiamo raggiungendo i livelli pre-covid», afferma Andrea Cigni, sovrintendente della Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli, commentando il bilancio a consuntivo presentato pochi giorni fa all’assemblea dei fondatori.
S’interrompe e afferma: «I dati che balzano subito all’occhio: da un lato la chiusura del bilancio, con un segno positivo e un avanzo di gestione di poco più di 3mila euro che si aggiunge al risultato attivo ottenuto già nel 2021, oltre 240mila euro. Ma ancora più importante è la crescita delle attività produttive che fa segnare un incremento di 858.985 euro e non ultimo il numero delle aperture e il ritorno del pubblico, anche se con numeri che dovremo incrementare nel corso degli anni».
Se sembra chiaro capire la soddisfazione per un bilancio in attivo, ci può descrivere perché investire di più nelle produzioni e nell’attività è un segno positivo?
«Un teatro sano che adempie al suo ruolo di servizio pubblico e presidio culturale è un teatro vivo e mantiene il suo ruolo istituzionale. Tutto ciò comporta, accanto ad un fisiologico aumento dei costi, intesi come investimento, anche un aumento dei ricavi, dell’attrattività rispetto a stakeholders privati (specie su progetti specifici) e dei trasferimenti ministeriali, attribuiti proprio in base alle attività svolte secondo parametri qualitativi e quantitativi».
E questo aspetto in cifre come si traduce?
«Aver aumentato l’attività artistica ha portato ad un incremento del contributo ministeriale, passando da 875mila euro del 2021 a 1.066.970 euro per il 2022, attivando best practices riconosciute da tutti gli altri soggetti che partecipano al sostegno delle attività, come Regione Lombardia. Questi incrementi si aggiungono ai contributi dei fondatori e dei sostenitori. Nel novero dei teatri di tradizione, il Ministero ha riconosciuto questo impegno posizionandoci primo teatro in Lombardia e quarto a livello italiano, riconoscendo concretamente il nostro sforzo nell’incrementare le attività che, in un periodo non facile, stiamo portando avanti».
E il capitolo ricavi da biglietteria?
«Ovviamente la vendita di titoli di ingresso ha la sua importanza, direi anzi che è il primo termometro della salute di un teatro. Infatti, rispetto al 2021 sono evidentemente aumentati, uscendo dalla pandemia: siamo così passati da 298.394 euro a 762.274 (comprendendo anche l’animazione estiva). Nel fare questo tipo di valutazioni non possiamo dimenticare quanto il 2021 sia stato condizionato dalle limitazioni Covid, così come l’inizio del 2022. È giusto essere obiettivi affinché l’analisi non sia puramente speculativa, ma un approfondimento concreto. Detto questo se guardiamo alle giornate di spettacolo nel 2022 esse sono state 163 per un totale di 263 giorni di apertura (prove, montaggi, allestimenti). Anche qui ci stiamo avvicinando ai livelli precedenti lo scoppio della pandemia».
Quanto costa alla collettività il teatro?
«Parliamo in termini di investimenti che l’amministrazione fa sul suo teatro. Come in ogni città, sede di un teatro importante, esso è da considerarsi alla stregua di altri servizi pubblici (come biblioteche, musei, ospedali, scuole) seppur con funzioni diverse. Dal Comune il teatro riceve attualmente ottocento mila euro, il contributo più basso in assoluto dalla nascita della Fondazione nel 2003, quando il Comune contribuiva con un milione e duecento mila euro, calati progressivamente fino al dato odierno. Ci tengo sempre a sottolineare però che le Fondazioni nacquero negli anni Novanta proprio per questo, poter intercettare risorse private a fronte di un decremento di quelle pubbliche, destinate sempre più a numerosi e diversi capitoli di spesa nelle varie voci di un bilancio cittadino».
Tutto questo che effetto ha avuto?
«Da stimolo a fare ancora di più nell’interesse del teatro. Abbiamo intercettato nuovi partners, nuove aziende e realtà del territorio che desiderassero condividere la storia e l’azione culturale del teatro dei cremonesi, della loro ‘casa’ come amiamo definirla. Sono aumentati i fondatori: negli ultimi due anni con Decal SpA, Auricchio ed Ecomembrane SpA, c’è stato il rientro della Provincia di Cremona tra i Fondatori di diritto e ancora A2A, Eurotecno, Impea, Growens tra i Promotori e numerosi altri Sostenitori. A questo bisogna aggiungere l’attività di fundraising iniziata nel 2021 con un risultato pari a 315.113 euro, proseguita poi nel 2022 con 419.973 euro».
Nel capitolo costi come pesano le stagioni?
«Come dicevo sopra, l’aumento dell’attività artistica fa aumentare i costi, ma al tempo stesso permette di intercettare maggiori finanziamenti e, su progetti speciali o pensati per il territorio, si possono coinvolgere realtà private che hanno risposto con grande partecipazione. Penso, tra gli altri, ai progetti bellissimi realizzati con Sperlari, Fondazione LGH, Nexus, Bossoni, C2, Cellini Caffè, Auricchio. Più fai, più sei attrattivo, anche in termini di risorse».
E per l’occupazione e il personale?
«Il costo del personale è di un milione e duecento mila euro, fortunatamente in aumento rispetto al periodo pandemico: riprendendo e incrementando l’attività artistica cresce anche l’esigenza di coinvolgere più lavoratori e dunque generare un aumento occupazionale (si pensi, ad esempio, ai tecnici aggiunti). La mia attenzione manageriale si è rivolta sia alle risorse umane andate via via strutturandosi, sia alle nuove figure professionali che seguissero aspetti trasversali. Non dimentichiamo infine l’aumento energetico, che ha contato moltissimo: la voce costi energetici è cresciuta di oltre 100 mila euro nel 2022, rispetto al previsto».
Quali sono le spese più importanti?
«Le spese per la gestione artistica incidono sul bilancio per il 55,13% del totale e la seconda voce, pari al 31,96%, è quella per il personale che è direttamente proporzionale all’attività. La stagione d’opera influisce nei costi artistici per il 47,33%, il Festival Monteverdi per il 16,56%, la danza per l’8,36% e la musica per il 6,22%. La prosa, un genere prezioso e frequentato, influisce sui costi per l’11,10% ed è il comparto che non ottiene finanziamento pubblico alcuno (per i teatri di tradizione non ci sono finanziamenti importanti per la prosa) ed è la terza stagione per importanza di investimento».
Il bilancio 2022 che prospettive fornisce al teatro?
«Racconta un teatro in salute, un teatro che sta riprendendosi da due anni davvero difficili, con grande energia e che in poco tempo ha recuperato la solidità necessaria data dallo stato patrimoniale, base necessaria per progettare il futuro dei prossimi anni. In due anni le riserve patrimoniali, grazie alle riserve statutarie, sono quasi tornate ai livelli del 2003».
A due anni e mezzo dalla sua nomina quale bilancio fa della sua attività?
«Sono entrato in teatro la prima volta da Sovrintendente il 4 gennaio 2021. Tenuto conto delle condizioni in cui mi sono trovato a operare, ho lavorato con la struttura per rilanciare il Ponchielli come cuore della comunità, rispettandone la tradizione, ma non stancandomi di innovare e sperimentare, nel segno di una apertura verso l’esterno e una trasparenza nella gestione e nel racconto di ciò che accade in teatro ogni giorno. Ho agito con lo spirito di servizio con cui ho assunto questo incarico, operando in un’istituzione che ha finalità e risorse pubbliche preziose».
Lei a fine anno termina il suo mandato, si ricandida?
«Il CdA, con competenza e nell’interesse del teatro, sceglie il sovrintendente in totale autonomia. Le sfide che attendono il Ponchielli sono quelle che attendono buona parte del sistema teatrale italiano, in costante evoluzione, normativa e di funzionamento. Per questo servono competenza, visione, progettualità, sostenute da conoscenza della macchina teatrale, delle normative, delle strategie di funzionamento e del sistema globale dentro al quale ci muoviamo in costante evoluzione».
A settembre sarà chiamato a dare la sua eventuale disponibilità a un nuovo incarico. Quale bilancio fa della sua attività di sovrintendente?
«Sicuramente abbiamo avviato molti progetti e posizionato il Teatro ad un ottimo livello. Ad esempio, è importante aver avviato la proposta del disegno di legge, con un appoggio bipartisan da parte dei rappresentanti politici del territorio, affinché il Festival Monteverdi diventi festival di rilevanza nazionale, con risorse specifiche destinate a celebrare colui che ha inventato l’opera lirica nel paese del melodramma e che ci rende famosi nel mondo. Già poter raggiungere questo obiettivo sarebbe importante, cambierebbe il volto di un festival e dell’offerta culturale della nostra Nazione. Il Monteverdi ha potenzialità enormi e conferma l’unicità di questa città e del suo patrimonio musicale».
In che modo, dopo gli anni di pandemia, il teatro Ponchielli ha ripreso il rapporto col territorio?
«Mi piace sottolineare che abbiamo lavorato a un sempre maggior legame col territorio, sia nel coinvolgimento dei soggetti produttivi che nella necessità di rinnovare e ritrovare il pubblico, di intercettare i giovani attraverso iniziative per loro e con loro, di dedicarci a utenti fragili, pensando a innovare, integrando anche gli strumenti della tecnologia digitale e così via. Per questo ho attivato una serie di tavoli di lavoro e di ascolto. Essi vanno dalle attività artistiche alle azioni sociali, aprendosi alla comunicazione, ai giovani, al dialogo con tutti. Sono utili anche a noi per capire e crescere. Il teatro Ponchielli è parte dell’identità dei cremonesi e i primi destinatari saranno sempre loro, al di là di chi è e sarà chiamato negli anni a guidarne l’attività, pensando primariamente al bene di questa istituzione».
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