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IL PUNTO

Scacciate dalla rete l'uomo mascherato

Protetti dall'anonimato, i criminali affollano Internet con l'unico obiettivo di fare soldi. E grazie all'IA, in grado di clonare le voci di persone reali, riescono a essere sempre più credibili. Ma esistono modi per smascherare i ‘fantasmi’ del web: informarsi sui canali ufficiali è tra questi

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

07 Settembre 2025 - 05:05

Scacciate dalla rete l'uomo mascherato

The Phantom, il fantasma, che ebbe un discreto successo nelle edicole anche in Italia grazie alla serie L’Uomo Mascherato, detto anche l’Ombra che cammina, è un personaggio dei fumetti d’avventura creato nel 1936 negli Stati Uniti. Capostipite degli eroi mascherati in calzamaglia e senza superpoteri, ha studiato a Oxford e lotta contro il crimine a livello globale. Al contrario, i più moderni uomini mascherati rappresentano la pirateria, il male, e hanno superpoteri. Sono coloro che affollano la Rete e, protetti dall’anonimato grazie a deep fake, falsi generati dall’intelligenza artificiale, scorrazzano nel mare di Internet con un unico obiettivo: fare soldi.

Attraverso truffe semplici come quelle telefoniche tentate ai danni delle categorie più deboli, gli anziani per esempio. Ne abbiamo avuto alcuni casi anche vicino a noi in questi giorni, con tentativi di estorsione in città e nei paesi pianificati utilizzando la voce clonata di parenti delle vittime. Fortunatamente non sono andate a segno grazie alle competenze di nonnini e nonnine contattati dai pirati della rete: per loro stessa ammissione, grazie anche agli allarmi periodicamente lanciati dal nostro giornale, non sono caduti nell’inganno.

Le tecniche di questi banditi sono però andate via via sempre più raffinandosi. Fino ad arrivare, per esempio, a quella recente e clamorosa denunciata da Luca Poma in un’intervista al Corriere della Sera. «Il CEO di una nota agenzia di comunicazione mi ha illustrato la possibilità di trasferire sul PC di un giornalista scomodo una cartella contenente foto pedopornografiche, con annesso intervento della polizia postale, allertata per l’occasione in maniera anonima». Così si può distruggere una persona considerata un avversario, un ostacolo ai propri piani, o la si può ricattare.

Poma non parla per sentito dire, ma in quanto specialista della materia: è professore all’Università Lumsa di Roma, dove insegna alla prima cattedra in reputation management istituita in Italia e, in quanto avvocato, consulente di vip e aziende obiettivo di azioni che mirano a disonorarne la reputazione. Arginare i fantasmi della rete è diventato un imperativo categorico. A chiederlo sono in molti.

L’ultimo appello in ordine di tempo arriva da Andrea Riffeser Monti, presidente della Fieg, la Federazione Italiana degli Editori di Giornali: «Il divieto dell’anonimato nella Rete è una proposta che personalmente avanzai già qualche anno fa: gli ultimi accadimenti lo rendono necessario, urgente e non più rinviabile. Faccio appello al legislatore perché si faccia carico in tempi stretti di tale necessità con regole stringenti sulla identificazione di chi pubblica nella Rete. L’anonimato – ha spiegato– non costituisce una garanzia di libertà né tanto meno rappresenta una tutela della propria riservatezza. È, invece, uno strumento per eludere le responsabilità legali e favorire comportamenti che nella vita reale sarebbero condannati e perseguiti perché direttamente riferibili alla persona che li realizza».

Un concetto che attiene anche alla libertà di stampa e al diritto a un’informazione corretta, come ha argomentato in un ‘intervista al nostro giornale Michele Brambilla, direttore del Secolo XIX di Genova, presentando un suo romanzo: «Oggi siamo massacrati dalle fake news, ma la gente comincia a capire che non tutto quello che esce sulla rete e sui social è vero. E infatti quando ci sono grandi fatti come terremoti, guerre, crisi, si registra un’impennata di connessioni ai siti dei giornali tradizionali perché il lettore ha bisogno di un’informazione sicura, certificata, attendibile, penalmente e civilmente perseguibile. Perché se noi sbagliamo, e capita, paghiamo; chi sui social racconta balle, invece, non paga nulla».

Basta impunità è la parola chiave. Un intervento reso ancora più necessario dopo lo scandalo dei siti sessisti oggetto delle cronache giudiziarie di questi giorni. Foto di donne messe in rete da mariti, compagni ed ex compagni, commentate in modo disgustoso da migliaia di persone; immagini di vip prese dai social, elaborate e artefatte con l’intelligenza artificiale fino a diventare boccaccesche e pubblicate. Anche qui con un delirio di commenti inguardabili.

A parte il disgusto di appartenere alla stessa umanità degli individui che chiosano con termini irriferibili quelle immagini, è evidente che si rende necessario metterci una pezza. Da un lato, c’è l’educazione digitale da perseguire in famiglia e, soprattutto, a scuola: quando riusciremo a vederla rientrare a pieno titolo nei programmi obbligatori? Questa è una delle riforme prioritarie, al ministero dovrebbero concentrarsi anche qui invece che dedicarsi a progetti e obiettivi ideologici, come sembra stia accadendo. Così come è essenziale che le vittime trovino il coraggio di denunciare ogni tentativo di estorsione e di manipolazione della propria immagine. Altrettanto importante è porre regole. Le norme attuali sono decisamente inadeguate rispetto alle nuove tecnologie.

Un passo in questo senso lo ha fatto la senatrice Mariastella Gelmini. La sua proposta, come quella della Fieg, è di porre fine all’anonimato online: chi pubblica dei contenuti sul web, al pari di chi manda una lettera a un giornale, deve metterci la faccia. Perché «non c’è libertà senza responsabilità». Poi, invoca la senatrice, vanno poste regole stringenti sull’identificazione dei contenuti generati dall’Ai. Inoltre vanno responsabilizzate le piattaforme. «Se utilizzassero un decimo delle risorse tecniche che impiegano per proporci la vendita di quello che cerchiamo, i contenuti inappropriati sarebbero facilmente scovati».

Senza anonimato il web sarebbe un posto più pulito, Internet non può restare zona franca. Anche Europol, peraltro fin qui inascoltata, chiede da tempo di eliminare l’anonimato online per contrastare ogni forma di cybercrime. L’intelligenza artificiale è l’arma di questi criminali. Nei casi degli anziani cremonesi a cui è stata tentata un’estorsione, l’hanno utilizzata per clonare le voci di loro parenti. Bastano tre secondi di contatto e il gioco è fatto. Nello stesso giorno più di un tentativo, partito dallo stesso numero di telefono.

A parte fare denuncia una volta avuto il sentore dell’inganno, come si ci può difendere? Poche, semplici ma efficaci, le regole dettate dagli specialisti. Se il messaggio è urgente e contiene una richiesta di denaro, è il caso di alzare immediatamente le antenne, va controllata la fonte, la voce deve essere ascoltata con attenzione facendo caso a piccole interferenze o a dettagli poco naturali. E se nonostante tutto si è convinti della effettiva veridicità di quanto detto, si deve chiudere la chiamata contattando immediatamente dopo il presunto interlocutore. I ‘fantasmi’ si possono smascherare anche così.

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