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PENSIERI LIBERI

Chiedono una scuola diversa, prendiamoli sul serio

I ragazzi che si sono rifiutati per protesta di sostenere la prova orale all’Esame di Stato vanno ascoltati: vogliono essere considerati, diventare interlocutori, prendere parola e progettare attivamente il loro futuro. Ce lo chiedono con coraggio e meritano rispetto

Angela Biscaldi (Professore associato di Antropologia Culturale, UniMi)

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redazioneweb@laprovinciacr.it

22 Luglio 2025 - 05:25

Esprimono sofferenza, prendiamoli sul serio

Nei giorni scorsi ha richiamato l’attenzione dei media il caso di studenti e studentesse che, in diverse città italiane, si sono rifiutati, in segno di protesta, di sostenere la prova orale all’Esame di Stato. Le ragioni della protesta possono essere sintetizzate in un generale atto di denuncia della mancanza di empatia e umanità sperimentate durante il loro percorso di studi. Non è scuola, ci dicono, quella che produce competizione, ma anche malessere, frustrazione, disistima.

La risposta dei docenti e delle istituzioni è stata perlopiù di sanzione e/o di richiamo al duro principio di realtà: ‘Svegliatevi, belli. Uscite dalla bambagia in cui vi hanno cullato i vostri genitori e aprite gli occhi. Così è il mondo. Performance, competizione, esposizione al giudizio. Perché mai il sistema educativo dovrebbe funzionare in modo diverso dalla società di cui è espressione e perché mai dovrebbe funzionare in modo diverso dalla società che esso stesso concorre a riprodurre?’. Appunto: perché mai? Ebbene, per questi ragazzi e ragazze, vivaddio, ci sono delle ragioni per immaginare delle alternative. E c’è anche il coraggio necessario per affermare il loro desiderio di cambiamento nello spazio pubblico: chiedono una scuola diversa per una società diversa.

Non parliamo quindi, una volta tanto, di giovani sdraiati pigramente sul divano con il loro smartphone, apatici, passivi, di cui tanto noi adulti ci preoccupiamo e per i quali si sprecano gli interventi degli esperti; né di giovani privi di quel senso critico che le scuole continuano a ripetere di voler insegnare, senza riuscirci. Parliamo invece di studenti e studentesse che muovono, apertamente e in modo argomentato, una critica al sistema educativo italiano.

Vorrei, quindi, invitare ad un esercizio di riflessività e ad una apertura nei loro confronti. Mi sembra che la questione che pongono oggi in modo così provocatorio sia una questione da tempo avvertita, più o meno consapevolmente, da tutti coloro che interagiscono nell’istituzione scuola nei più diversi ruoli — dirigenti, docenti, collaboratori scolastici – e che si confrontano quotidianamente con la delusione e il malessere di gran parte della popolazione studentesca e con la crescente insoddisfazione, se non aggressività, delle loro famiglie.

I giovani ci stanno dicendo che questa scuola esercita per le sue stesse modalità organizzative una grave violenza strutturale, che genera una sofferenza diffusa, perché ha adottato il linguaggio e la logica aziendale (fatta di crediti, certificazioni, badge, indicatori e misurazioni) e la sua corrispondente visione di uomo neoliberale (individualista, competitivo, performante, eccellente) e si è allontanata dalla sua promessa educativa originaria e fondativa: l’attenzione e la cura per la crescita complessiva dell’umano nella sua relazione con mondo sociale e naturale.

Denunciano che la scuola è sempre più un luogo di esercizio del potere e del controllo e non uno spazio di espressione, negoziazione e promozione delle responsabilità; che, contrariamente a quanto dichiara di fare, seleziona ‘i migliori’ e abbandona i fragili, mentre dovrebbe piuttosto cercare di avvicinare e includere, intercettando, appassionando, sostenendo i più diversi stili di apprendimento; che avvalla il processo di medicalizzazione delle differenze, anziché mettere al centro la dimensione relazionale della cura.

Il senso di vuoto e di malessere dei giovani sta nell’angoscia generata da questa progressiva disumanizzazione e burocratizzazione, in tempi in cui, invece, sarebbe sempre più necessario – a fronte di accelerate trasformazioni socio-culturali e dell’avanzare del cosiddetto post-umano – lavorare in direzione della fondazione comune di una nuova antropologia dell’educazione. In vista di questa rifondazione, i giovani chiedono di avere un ruolo attivo. Non vogliono stare seduti fermi nei loro banchi ad annuire, prendere appunti e poi essere interrogati, come in un eterno ritorno.

Vogliono essere considerati ‘persone’, diventare interlocutori, prendere parola e progettare attivamente il loro futuro. Come generazione responsabile di questo disastro educativo che stiamo vivendo, possiamo continuare a negare i problemi e rimpallarci come nel gioco della palla che scotta, la responsabilità — «è della scuola», «no, è della famiglia», «no, è della politica», «no, è della società» — per poi lasciare tutto come prima.

Oppure, possiamo avviare, come ci chiedono coraggiosamente questi ragazzi e ragazze, un ripensamento critico del funzionamento del sistema scuola, della sua progettualità e del suo ruolo sociale. Possiamo farlo in primo luogo prendendoli sul serio, sospendendo i nostri pregiudizi, fermandoci ad ascoltarli con attenzione e rispetto, per poi metterci in dialogo, da adulti, con la loro capacità di desiderare, immaginare, costruire una scuola diversa per una società diversa.

 

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Commenti all'articolo

  • fatacco_cr

    24 Luglio 2025 - 15:12

    Seguito del mio commento: bene ha fatto il Ministro Valditara a decretare la bocciatura a partire dal prossimo anno scolastico!

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  • fatacco_cr

    24 Luglio 2025 - 15:10

    Il mio commento postato ieri non è stato approvato? Dicevo semplicemente che si dà troppa importanza a questo supposto disagio giovanile, che prendano esempio da quei ragazzi ricoverati in ospedale che, pur potendo approfittare della loro condizione per chiedere un rinvio, hanno voluto sostenere a tutti i costi tutto l'esame di maturità orali compresi

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  • fatacco_cr

    23 Luglio 2025 - 18:58

    Penso che diamo troppa importanza a questo problema. Sembra che solo loro hanno problemi! Prendano esempio, come ha detto il Ministro Valditara, da quei ragazzi che pur essendo in ospedale hanno voluto a tutti i costi sostenere l'orale

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