10 Giugno 2025 - 05:00
C’è da pensare che Maurizio Landini, segretario della Cgil, e i leader dei partiti di opposizione che hanno appoggiato i suoi referendum non abbiano mai letto ‘L’arte della guerra’ di Sun Tzu, il più antico manuale strategico della storia, scritto 2.600 anni fa. Un testo di culto per chiunque voglia raggiungere un obiettivo nella vita o nel lavoro, dal manager al generale, dallo sportivo all’artista, mica soltanto in una battaglia campale. Il principio fondante di questa massima del grande generale e filosofo cinese è che il modo migliore per essere certi di vincere una guerra è assicurarsi la vittoria ancora prima di iniziare a combattere. Nel caso dei cinque referendum, Cgil e sodali sono andati in direzione esattamente contraria.
Primo errore: affidare al giudizio popolare, puntando sul superamento del quorum del 50 per cento, decisioni che avrebbero benissimo potuto essere prese con iter legislativo parlamentare in fasi più propizie di quella attuale. Vale a dire azzardare la scommessa di portare alle urne più di 25,6 milioni di italiani: troppi, per gli standard di partecipazione ai referendum e con un trend che indica chiaramente una pesante disaffezione per le urne.
È stata così scatenata una battaglia politica a perdere, innanzitutto perché la Cgil e il centrosinistra non hanno studiato a dovere i punti di forza e di debolezza dell’avversario, ma anche perché non hanno saputo neppure avere la consapevolezza dei propri limiti. Hanno cioè posto fiducia in una forza che non posseggono. Tanto che non sono riusciti neppure a mobilitare le proprie ‘divisioni’. Alle urne si è recato poco meno del 30,6 per cento degli aventi diritto, contro il 44,6 per cento ricavato dalla somma delle intenzioni di voto dichiarate il 29 maggio scorso nel sondaggio Ipsos (22,3 Pd, 14,6 Movimento 5 Stelle, 5,9 Alleanza verdi sinistra, 1,8 +Europa).
Uno scarto di 14 punti percentuali di elettori di centrosinistra, rimasti a casa o andati al mare, per dirla alla Bettino Craxi. Una disfatta annunciata. La prima regola della politica è che se si lancia la sfida, non si va in guerra (in questo caso per fortuna metaforica, nelle urne) solo per fare ‘testimonianza’, ma per vincere. La brusca battuta d’arresto non può essere liquidata, come ha fatto Elly Schlein, con una battuta. La segretaria dem ha ringraziato i 14 milioni di italiani che hanno deciso di votare: «Sono più di quelli che hanno votato Meloni» alle ultime elezioni politiche. Una frase certamente auto compassionevole, che non nasconde però il vero senso della sconfitta, che è profonda, seria.
E, soprattutto, era evitabile. «Un regalo enorme a Giorgia Meloni e alle destre», ha riconosciuto con maggiore onestà intellettuale l’eurodeputata del Pd e vicepresidente dell’Eurocamera, Pina Picierno, invitando a «evitare acrobazie assolutorie sui numeri» e riconoscendo che «fuori dalla nostra bolla c’è un Paese che vuole futuro e non rese di conti sul passato». Se vuole averlo, quel futuro, la sinistra deve ora fare un serio esame di coscienza. La peggiore conseguenza del referendum è che da oggi escono dall’agenda politica (e ci resteranno fuori a lungo) alcuni temi identitari.
Come per esempio quello della cittadinanza, relativo al referendum numero 5, l’unico non dedicato al mondo del lavoro ma ai diritti civili. Non solo il quorum non è stato raggiunto anche in questo caso, ma i «no» tra quanti si sono recati alle urne sono stati il trenta per cento. Chiaro segno che il tema di ridurre da dieci a cinque anni gli anni di residenza per poter ottenere la cittadinanza italiana (gli altri requisiti sono conoscere l’italiano, avere un reddito stabile e non avere commesso reati) non è considerato strategico neppure da buona parte degli elettori di sinistra. Così è nonostante i sondaggi sbandierati nei mesi scorsi che davano come largamente condiviso il principio. In conclusione: per la squadra guidata da Giorgia Meloni, quello voluto dal centrosinistra si è trasformato in un referendum sulle opposizioni stesse, che l’hanno perso. Un autogol, altro che referendum sul governo.
S.E.C. Spa – Divisione Commerciale Publia : P.IVA 00111740197
Via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona : Via Cavour, 53 - 26013 Crema : Via Pozzi, 13 - 26041 Casalmaggiore