28 Aprile 2025 - 05:25
Il 76enne Olivano Enrico Donini e alcuni degli oggetti che custodisce
CREMONA - Il lungo viale alberato, i campi immersi nel silenzio e, sullo sfondo, l’Oglio. È questo angolo di paradiso, appena fuori Azzanello, che custodisce un tesoro unico nel suo genere eppure poco conosciuto: migliaia e migliaia di reperti, scovati chissà dove o donati da privati, ripuliti e pazientemente catalogati, che parlano delle alterne vicende del territorio in ogni sua dimensione, le antiche professioni e l'arte, i ritmi quotidiani e la fede, le case e la guerra.
Se il contenitore di questa mostra di ricordi, di questo scrigno della memoria è la Cesulina, come la chiama affettuosamente la gente del posto, una piccola chiesa sconsacrata nel 1950, il suo ideatore, guardiano e guida è un pensionato di 76 anni, Olivano Enrico Donini, appassionato di storia locale, collezionista insaziabile e frequentatore instancabile di archivi. «Ho voluto raccontare la vita dei miei fratelli compaesani. Cosa mi spinge? La curiosità. Sin da bambino sono stato animato dal desiderio di scoprire le cose».
La pieve, dedicata ai Santi Quirico e Giulitta, è stata acquisita nel 1991 dal Comune. Un gruppo di volontari l’ha liberata dalla sporcizia, dal guano dei piccioni e dalle masserizie abbandonate fin dai tempi in cui era stata adibita a magazzino e officina. Venti anni dopo, il 18 dicembre 2011, l’apertura della Cesulina e l’inizio dell'avventura. «Ringrazio l’allora sindaco, Arsenio Molaschi che mi ha dato il permesso di allestire il museo». Uno dei primi strumenti della raccolta di oggetti è stata la ‘Grèmula’, che presta il nome all'esposizione permanente.
«Avevo sempre sentito parlare di questo attrezzo da mia madre, Angela, ma non l’avevo mai visto. Veniva utilizzato per impastare farina, acqua e sale. Un giovane lo azionava e le donne giravano il miscuglio che al momento giusto veniva diviso in pagnotte e poi messo nel forno a legna a cuocere. Si iniziava alle 4 del mattino e si continuava sino a sera», spiega Donini. La vecchia abitazione del curato, a fianco della chiesa, ospita la sezione dedicata ai mestieri di un tempo «quando il lavoro era fatica e dolore». In un angolo, un aratro per la coltivazione del lino; in un altro, l’asse e la fune per stendere il granoturco sull'aia e raccoglierlo al termine della giornata.
«Alcuni di questi arnesi me li sono ritrovati sul sagrato, portati da anonimi; alcuni li ho recuperati dai rifiuti della discarica». Nella stanza successiva è stata ricostruita una falegnameria, in quella accanto spicca la mola dell’arrotino, in quelle dopo ancora ecco la cucina, il negozio di ferramenta, la scuola, la farmacia, il dottore, la levatrice e lo studio dentistico. Tutto, beninteso, com'era una volta. Una scala in pietra e legno conduce al primo piano e alla camera da letto con i relativi arredi. «Il dono di un agricoltore. Era stata abbandonata e rovinata dai colombi e dai topi, ci sono volute due settimane per ripulirla usando i guanti».
In un armadio le camicie da notte da uomo e, al loro posto sul letto, i due soffici cuscini ricamati dalle bambine nella stalla d'inverno. Su un guanciale è stato cucito il nome della giovane futura sposa; nessun nome, invece, sul secondo perché non si sapeva ancora chi sarebbe stato il marito. Sembra di immergersi nel passato, di tornare a una civiltà che non c'è più. Uno degli ultimi pezzi entrati a far parte della collezione è un vecchio rullo che, trainato da un cavallo, veniva impiegato per spianare i campi.
La visita prosegue nella chiesa. E lì, sotto le navate medievali, un'altra sorpresa. Quasi ci si perde, tanti e di ogni genere sono i reperti, compreso un mare di libri e documenti, esposti. «Ognuno di essi reca le impronte dei nostri avi, dei nostri bisnonni, dei nostri nonni e il Dna dei nostri genitori», dice Donini continuando a vestire con entusiasmo i panni del Cicerone. Orgoglioso di aver prestato servizio militare tra gli Alpini come Artigliere da Montagna con l’incarico di ‘conducente muli’, indica i cimeli che compongono l'altare della patria.
«Questo elmetto della Grande Guerra era in dotazione alla Compagnia della morte, i soldati che venivano mandati a tagliare il filo spinato dei nemici». Il caschetto è pesantissimo. «Scendeva sugli occhi tanto che quei poveri ragazzi dovevano girarlo al contrario. In pratica, non serviva a niente. Ma la chicca più rara è quel quadro dietro al quale è spuntato il ritratto di Cesare Battisti con la sua firma». Non poteva mancare uno spazio riservato al Ventennio, con le riviste, le cartoline e le monete dell'epoca. Poco più in là l’orologio che era sul campanile della chiesa del paese e che è stato messo a disposizione dal parroco. Anche le suore di clausura di Soresina hanno contribuito offrendo i piatti di ceramica con lo stemma delle religiose, la radio che le collegava al mondo, il ferro da stiro su cui è incisa una croce e gli attrezzi da farmacia a cui le monache facevano ricorso perché non potevano uscire dal convento.
Il tour nella storia è finito, ma potrebbe durare ore e regalare altre emozioni. «Ho voluto offrire la possibilità di riscoprire le nostre radici, le nostre tradizioni e la vita di chi ci ha preceduto su queste terre che calpestiamo quotidianamente. Un omaggio a tempi più duri ma anche più semplici, solidali e altruisti», si congeda Donini prima di ripartire alla ricerca di altro materiale. Non è solo in questa impresa culturale e umana, ma lo aiuta un drappello di generosi volontari di cui fanno parte Piero Manifesti, Ernestino Raimondi, Ernesto Maggi, Viviana Manini. Gli danno una mano, accogliendo i visitatori e tenendo pulita la biancheria in mostra, anche le sue donne: la moglie Daniela, la figlia Elena, la nipote Lara.
Il museo è aperto la domenica pomeriggio (ingresso gratuito), tranne quando il suo custode deve assentarsi per partecipare a raduni e manifestazioni delle sue amate Penne Nere. «Ho portato alla ‘Grémula’ i bambini del catechismo: erano entusiasti», commenta, uscendo dalla chiesetta, il vicesindaco di Azzanello, Cristiano Sangermani. «Penso ogni giorno a come valorizzare un luogo incredibile come questo». Per un paese dove prima c’erano venti cascine e ora una, in cui è aperto un bar contro gli otto di ieri, che è passato da duemila a 650 abitanti, vincere la non semplice sfida di accendere le luci sul tesoro nascosto della Cesulina sarebbe una speranza di salvezza.
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