28 Aprile 2025 - 05:20
Papa Francesco con monsignor Gian Carlo Perego
CREMONA - «È morto un Papa che rappresentava il centro della Chiesa, ma anche un figlio di emigranti che non ha mai dimenticato la sua origine»: così l’arcivescovo di Ferrara-Comacchio Gian Carlo Perego, nativo di Vailate, presidente di Caritas Ferrara, direttore generale della Fondazione Migrantes, ricorda la figura di papa Francesco. Il tema dei migranti ha costituito un filo rosso che ha attraversato tutto il pontificato di papa Francesco fino all’ultimo messaggio urbi et orbi del giorno di Pasqua.
Papa Francesco è figlio di emigranti italo argentini, simbolo di una pagina di storia italiana e personale che ha sempre ricordato nelle sue parole. È diventato il loro portavoce e non ha mai dimenticato le sue origini. Crede che anche questo aspetto lo abbia portato ad essere vicino alla gente comune alla quale non ha fatto mancare la vicinanza, neppure il giorno prima di morire?
«Nel suo Magistero, nelle interviste e anche nella sua autobiografia ‘Spera’ papa Francesco ha fatto spesso riferimento alle sue origini, alla storia di emigrazione della sua famiglia. Certamente i racconti della vicenda emigratoria dei nonni e dei genitori hanno influenzato la sua attenzione al tema dei migranti e alla sua insistenza sul valore dell’accoglienza dei migranti. Così pure la provenienza di papa Francesco da una famiglia di poveri e semplici migranti, anche se appassionati di lirica e della lettura dei giornali, abbia portato ad essere vicino ai più semplici, ai poveri».
Il tema dei tema migranti è sempre stato al centro del suo magistero fin dal suo discorso a Lampedusa, nel luglio 2013 dopo una strage di migranti, il suo primo viaggio apostolico dopo l'elezione. Aveva incontrato migranti e residenti e tracciato già il segno di quello che sarebbe stato il suo agire. Una giornata che il santo Padre, continuando a parlare di ‘globalizzazione dell'indifferenza’, ha più volte rammentato.
«Non è un caso che il primo viaggio dopo la sua elezione fu a Lampedusa per richiamare fortemente come i migranti siano nostri fratelli e sorelle e come il Mediterraneo per la nostra indifferenza sia diventato un cimitero e chiedendo di passare dalla ‘globalizzazione dell’indifferenza’ alla ‘globalizzazione della solidarietà’. Un tema, quest’ultimo, ripreso nel discorso al Parlamento europeo del 2014. Importanti sono stati i viaggi per visitare i campi profughi di Lesbo, nel 2016 e nel 2021, con i richiami ai campi anche in Tunisia e Libia, come lager. L’enciclica Fratelli tutti dedica diverse pagine ai migranti e rifugiati, considerati una ‘benedizione’, soprattutto per la nostra Europa dove la denatalità sta facendo morire paesi e città e i muri che si alzano, stanno lasciando fuori dalle nostre città uomini e donne che hanno diritto a una terra, una casa perché in fuga da guerre, disastri ambientali, miseria. Quattro verbi, poi, Papa Francesco ha consegnato alla Chiesa e alla politica – che, contrariamente a ciò che qualcuno ha detto – era lontana dal Magistero di Papa Francesco: accogliere, tutelare, soprattutto le donne e i minori, promuovere, cioè valorizzare le loro competenze, integrare, cioè favorire scuola, lavoro e cittadinanza. Nella Bolla del Giubileo che stiamo vivendo Papa Francesco ha ricordato, tra i diversi volti dei poveri per i quali sono necessari ‘segni dei tempi’, ‘segni di speranza’ ci sono i migranti, i rifugiati. È interessante che in questo papa Francesco si collega idealmente alla lettera pastorale del 1897 di Geremia Bonomelli, Vescovo di Cremona, dal titolo ‘Segno dei tempi’, scritta in epoca di emigrazione italiana, anche dalla Lombardia e dalle campagne cremonesi.
Quali papi prima di lui hanno abbracciato e confortato gli ultimi? Nel primo viaggio a Lesbo disse: Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi. A papa Francesco non è certo mancato il coraggio della parola e dell’azione.
«Il coraggio non è mancato a papa Francesco, ma soprattutto Papa Francesco è stato ‘il Papa degli ultimi’. La scelta degli ultimi nasce dalla ‘scelta preferenziale dei poveri’ che la Chiesa dal Concilio Vaticano II ad oggi ha cercato di incarnare, anche attraverso una nuova istituzione nelle nostre Chiese come la Caritas. La scelta preferenziale dei poveri - hanno scritto sia papa Benedetto che papa Francesco - è una scelta teologica, non sociologica, nasce dal Vangelo e non da un’ideologia e risponde alla realtà di un mondo che è segnato da ingiustizie sociali gravi. Dalla Rivoluzione industriale in poi, che ha iniziato l’epoca moderna con nuove forme di sfruttamento, la Chiesa ha voluto arricchire il proprio magistero, a partire dall’ enciclica Rerum novarum di Papa Leone XIII, nel 1891, con un magistero sociale che in oltre un secolo ha toccato i temi del lavoro con altre quattro encicliche di Pio XI, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II) e dei lavoratori sfruttati, dello sviluppo e dei popoli sfruttati (la Populorum progressio di Paolo VI), la pace di fronte alle nuove guerre, oggi 57, (la Pacem in terris di Giovanni XXIII), la cura del creato, a fronte dello sfruttamento della terra, dell’acqua e del l’inquinamento (Laudato si’ e Laudate Deum di Papa Francesco).
In quale occasione lo ha conosciuto? Che impressione ne ha avuto?
«Per il mio servizio ministeriale alla Fondazione Migrantes della CEI, prima come direttore e poi come presidente, ho potuto incontrare diverse volte papa Francesco: in udienza con le comunità di emigranti italiani, con i rom, con la gente dello spettacolo viaggiante, con i migranti e i rifugiati). In tutti gli incontri mi impressionava il fatto della memoria, del riferimento alla mia Diocesi attuale o ad alcune persone, al mio servizio. L’occasione più familiare con Papa Francesco è stata nel 2020, durante il covid, quando mi ha chiamato per un servizio come Visitatore apostolico del Capitolo di San Pietro. In quella occasione ho abitato una settimana in S. Marta e ci siamo incontrati quotidianamente. Incontri sempre affabili, ma concreti, cercando soluzioni ai problemi, sempre molto riconoscente del servizio. Negli incontri era molto cordiale, familiare, ma anche molto attento alle parole.
E’ il primo Papa della storia ad aver ‘convissuto’ in un certo senso con un altro Pontefice, crede che questo lo abbia in qualche modo condizionato o influenzato?
«Il rapporto con papa Benedetto XVI è sempre stato cordiale e fraterno, anche se erano due persone diverse per formazione, storia. Certamente il Magistero di papa Francesco aveva un carattere diverso di quello di papa Benedetto, l’uno più attento alla vita e provocatorio, l’altro più teologico e pacato. Ma sono tanti i temi che i due Magisteri incrociano con una sintonia straordinaria: il tema dei poveri e della povertà della Chiesa, il tema della speranza, il tema dell’annuncio della fede in un’epoca secolarizzata e indifferente. Credo che Papa Francesco, anche per il suo temperamento, non abbia subito nessun condizionamento».
Provocatoria come la sua posizione sulle nelle politiche migratorie, soprattutto nell’accoglienza?
«Più che provocatoria è stata realista. Sapeva incontrare le persone e dagli incontri trarre insegnamento, un magistero che, naturalmente poi diventava provocazione per chi leggeva il fenomeno migratorio ideologicamente, non mettendo al centro la dignità della persona umana e il suo diritto al migrare, come unica speranza di vita. La sua lettura della migrazione era informata. Chiamava e incontrava personalmente i migranti e i rifugiati, incontrava le ONG che salvano i migranti in mare, gli operatori di centri di accoglienza.
Fino all'ultimo si è battuto per i loro diritti. nei mesi scorsi tra la chiesa e il governo Trump non sono mancate le polemiche, all’urbi et orbi il papa ha ribadito la sua visione. La visita di Vance può essere stata il primo passo verso l'inizio di una distensione da questo punto di vista?
«I dieci punti della lettera di sostegno ai Vescovi statunitensi che si sono visti da un giorno all’altro non rispettare un contratto che il Governo aveva fatto e tagliati i finanziamenti per l’accoglienza dei richiedenti asilo nelle strutture ecclesiali sono un capolavoro, perché ricordano lo spirito evangelico dell’accoglienza dei migranti e condannano il trattamento e le deportazioni dei migranti latinoamericani del Governo Trump. L’incontro con Vance è stato un incontro più formale che sostanziale, anche per le condizioni del Papa, ormai gravemente malato. Spero che le politiche statunitensi sui migranti cambino, anche perché la protesta ora sta venendo dalle realtà imprenditoriali e commerciali che mancano di manodopera, oggi assicurata dai latinoamericani».
«Quale eredità ci lascia? Una eredità irrisolta? Lo capiremo, come ha detto Corrado Augias, quando avremo il nuovo Pontefice?
Lascia una grande eredità alla Chiesa di incontri – quasi 80 viaggi – di parole magisteriali e un cammino di riforma della Chiesa avviato, con la valorizzazione dei ministeri laicali, anche femminili, e la centralità dei poveri. A me lascia in dono la nomina a questa Chiesa di Ferrara-Comacchio, che cercherò di servire secondo il suo spirito e un amore alla Chiesa fino alla fine. Lascia anche in consegna la cura dei migranti, come mi disse nel primo incontro dopo la nomina episcopale: Non dimenticarti dei migranti».
S.E.C. Spa – Divisione Commerciale Publia : P.IVA 00111740197
Via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona : Via Cavour, 53 - 26013 Crema : Via Pozzi, 13 - 26041 Casalmaggiore