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LE STORIE DI GIGIO

Sognava Fellini... ora studia radiazioni, rondini e avvoltoi

Al liceo classico Manin organizzava cineforum e voleva fare il regista. Poi Andrea Bonisoli Alquati è diventato ecologo del comportamento

Gilberto Bazoli

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03 Febbraio 2025 - 05:25

Sognava Fellini... ora studia radiazioni, rondini e avvoltoi

CREMONA - Pensare che sognava di fare il regista. «Al Manin organizzavo i cineforum, ero attratto dal linguaggio del grande schermo e dalla sua capacità di emozionare. Amo Tarkovskij, Kubrick, Fellini, Kurosawa, Leone». Ma ha deciso di imboccare l’altra strada del bivio, quella della scienza. E del resto, «fin da bambino avevo una passione per gli animali». E così Andrea Bonisoli Alquati, 44 anni, è diventato un ecologo del comportamento, quello che una volta si chiamava etologo. È professore associato di Tossicologia ambientale all’Università di Pomona, in California, dove continua a indagare gli effetti delle sostanze inquinanti sulle popolazioni di uccelli, come ha fatto anche durante le spedizioni a Chernobyl e Fukushima. «Gli uccelli sono ottimi indicatori delle condizioni ambientali».


Dopo Cremona e il diploma, Milano e l’Università degli Studi. E le prime ricerche sul campo. «A Comacchio, un posto magnifico, e intorno alle cascine del Parco Adda Sud. Ho preso in esame le rondini e la comunicazione tra madre e figli. Una questione affascinante dal punto di vista evoluzionistico in quanto le caratteristiche di un pulcino sono influenzate non solo dai geni ma anche da fattori come il contesto ambientale, l’abbondanza di insetti, la temperatura, la presenza umana e da ciò che una madre fa per plasmare quel contesto».


A 30 anni è partito per gli Stati Uniti. «La fuga dei cervelli è un’esagerazione. Io, perlomeno, non sono fuggito. Quel trasferimento era una tappa attesa, desiderata». Una brillante carriera cominciata all’Università della South Carolina, a Columbia, sulla East Coast. «Sono stato ingaggiato per proseguire le ricerche su Chernobyl. Sono andato in Ucraina, con altri colleghi, cinque o sei volte, un paio di settimane a volta. Si cercava di non passarci molto tempo. Abbiamo verificato che le radiazioni avevano provocato conseguenze deleterie, dal danno genetico all’aumento delle malformazioni, sulla rondine e altri piccoli uccelli del bosco». Inclusi quelli della Foresta rossa, la pineta vicina alla centrale nucleare.


«Il risultato principale di quelle missioni è stato aver risvegliato l’interesse, aver contribuito a una revisione del quadro che era al ribasso. Sembrava una faccenda chiusa, ma grazie alle nostre analisi si è riaperta. Chernobyl aveva anche una fascinazione storica, culturale: racchiude l’idea di un luogo post umano, in un certo senso ha anticipato ciò che è successo con la pandemia quando, in mancanza di attività umana, gli animali hanno potuto riprendersi i loro spazi naturali».


Il 2011 è stato l’anno di Fukushima. «Mi sono recato in Giappone poco dopo quel triplo disastro: terremoto, tsunami, crisi nucleare. Giravamo in auto lungo strade che improvvisamente erano franate, in aree non riportate sulle mappe, incontrando di continuo posti di blocco. È stata un’esperienza avventurosa e toccante perché la tragedia era ancora evidente, molto viva nella memoria della gente del posto. Una delle fortune del mio mestiere è che si incrociano le storie personali di uomini e donne e che si può dare un aiuto, per quanto limitato, nel comprendere le ripercussioni di fatti del genere. Fukushima è una zona agricola simile alla mia terra d’origine, e questo mi ha fatto riflettere: come sarebbe Cremona se ai suoi abitanti fosse chiesto di abbandonare le proprie case, i propri campi?».


Poi ecco l’incarico all’Università della Louisiana, a Baton Rouge. «Un’altra catastrofe, quella del Golfo del Messico: l’esplosione della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon. Successe nel 2010, ma gli studi sulla contaminazione erano proseguiti e proseguono tuttora in modo corale: 500 milioni di dollari stanziati, un esercito di esperti coinvolti. Al centro del mio lavoro un passero che vive nelle paludi costiere e un piccolo mammifero, il ratto del riso. Grazie ad esami sofisticati come quelli al carbonio-14, abbiamo documentato che quegli uccelli, pur essendo una specie terrestre, avevano incorporato petrolio nei loro tessuti probabilmente perché si erano cibati di qualcosa, insetti o altro, che invece al petrolio era stato esposto direttamente. Al fondo della scoperta c’è l’aver documentato l’interconnessione tra diversi ecosistemi e diversi componenti di questi ecosistemi. Si tratta di ricerche estremamente tecniche ma in definitiva il messaggio, la lezione che se ne può trarre è la loro applicabilità alla vita umana, delle persone».


Da otto anni Bonisoli Alquati vive in California. Tra i progetti in cui è impegnato quello sulla contaminazione da munizioni al piombo usate nella caccia. «Mi sto occupando degli avvoltoi dalla testa rossa, animali bellissimi. Ma la questione è globale perché interessa molte specie di rapaci. A partire dai condor: ne rimangono pochi esemplari ma la loro popolazione è costante grazie a un’impresa incredibile. I condor della California, tutti, vengono presi annualmente e portati in dialisi per eliminare il piombo dal loro corpo. Per me questo sforzo di conservazione è una cosa magnifica. La California ha vietato dal 2019 la caccia con le munizioni al piombo e stiamo approfondendo gli esiti di questa messa al bando. In questo momento sto anche verificando le conseguenze dei topicidi su una serie di rapaci come la poiana dalla coda rossa, parente stretto della nostra poiana. Questi prodotti dell’industria chimica sono fondamentalmente ovunque».


Un’altra indagine? «Sono sempre troppe — sorride l’etologo —. Con centinaia di colleghi abbiamo elaborato le posizioni alla base delle raccomandazioni perché il trattato globale sull’inquinamento delle plastiche sia rispettoso delle evidenze scientifiche riguardo alla loro pericolosità. Quel trattato, discusso a Busan, in Corea, ma non ancora finalizzato, dovrà coprire l’intero ciclo delle plastiche, compresa la produzione, e non solo la fase finale, quella del rifiuto. Spero di partecipare al prossimo round di negoziazioni. Sono un grande fautore del valore sociale della ricerca scientifica: l’idea con cui mi sono formato è che ci sia una spinta etica».

L’ex liceale torna a Cremona un paio di volte all’anno. «Qui ci sono mio padre, i miei amici delle elementari e del Manin. Sono una ragione per rivedere la mia città, facciamo serate insieme. L’identità è fluida, evolve, è messa in discussione, ma una parte di essa può essere spiegata solo con le radici». Qualche settimana fa è rientrato a Pomona, dove insegna una zona non toccata direttamente dalle fiamme.

«La situazione in California è preoccupante. Particolato atmosferico e sostanze inquinanti liberate dagli incendi sono un pericolo per la salute. Forti venti e nuovi roghi sono una continua minaccia, e la pioggia che potrebbe portare sollievo rischia di causare smottamenti dei versanti. La crisi climatica è tra noi, nel presente. E solo un impegno collettivo, una trasformazione sistemica può proteggerci. Spero che sempre più persone capiscano che questa è la posizione della scienza ed esigano un cambiamento da chi le governa. Possiamo ancora preservare molto di questo nostro meraviglioso pianeta». Chissà, magari il cinema avrà perso un bravo regista, ma di certo il sapere ha acquistato un appassionato ricercatore.

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