16 Settembre 2024 - 05:25
OSTIANO - Ormai quell’oasi verde immersa nel silenzio, sino a non molto tempo fa sconosciuta, è diventata una tappa obbligata nell’itinerario della memoria. Il piccolo cimitero ebraico di Ostiano, l’unico in provincia, ha attirato visitatori anche ieri, in occasione della Giornata europea della cultura ebraica, giunta alla 25ª edizione e incentrata stavolta sul tema della famiglia. Il pubblico domenicale, che ha potuto ammirare anche la sinagoga, è stato preceduto da due rappresentanti autorevoli di questa tradizione millenaria: Yehoshua Glotman, uno dei più grandi artisti multimediali israeliani (si occupa, tra l’altro, di fotografia e cinema sperimentale), e Uri Chameides, un famoso violinista, insegnante di musica, fondatore della Camerata strumentale di Milano e della Méditerranean Symphonic Orchestra, che dal 1975 si è trasferito nel nostro Paese. Nati in Israele e amici da più di cinquant’anni, sono arrivati insieme in riva all’Oglio. Il primo vive a Berlino; il secondo a Casaletto Vaprio.
«Ho scoperto questo cimitero — dice Chameides, che ha ottenuto la cittadinanza italiana per merito, un riconoscimento di cui va orgoglioso — e me ne sono innamorato». A tal punto da aver fatto da guida, mesi fa, a 32 compatrioti. E nei giorni scorsi ha accompagnato Glotman, l’unico fotografo vivente a cui è dedicata una mostra allestita nel Museo di Gerusalemme, il più importante di Israele. Le sue opere vengono esposte in tutto il mondo. Ad attenderli trovano, come concordato, Giuseppe Minera, l’appassionato custode del camposanto. Ed è proprio grazie alla dedizione dell’artigiano di Pralboino se questo angolo ricco di storia e suggestioni non è stato dimenticato.
Mentre Chameides si ferma a conversare con lui, Glotman si aggira tra le lapidi, 41 marmoree e una in ferro battuto. La più antica è quella di Israele Finzi, negoziante: risale al 1821. Mentre la più recente, di Emilia Treves. possidente e impiegata dallo zio notaio, perseguitata dalle legge razziali promulgate dal regime fascista, è del 1943. Glotman si sofferma davanti alle lapidi, molte delle quali con la doppia scritta in ebraico e italiano, cominciando da quella di Moise Angelo Finzi: ‘di ingegno pronto e sagace, già sindaco del comune di Ostiano con breve ma onorato servizio’.
Poi viene attirato dall’epitaffio di Adele Orefice — ‘bella di ineffabili speranze e di precoci virtù moriva ahi povera giovinetta’ — e dalla tomba 'della vedova di Donato Forti, di Sabbioneta: ‘ottima moglie, madre esemplare, modesta, caritatevole e religiosa, qui da Verona venuta per abbracciare la figlia diletta’. Il fotografo è un attento osservatore dei dettagli: «La vernice di queste parole sembra fresca, recente. Come mai il tempo non l’ha rovinata, cancellata?», chiede a Minera. Che spiega: «Ho rifatto il muro perimetrale che, crollando, era caduto sulle lapidi danneggiando le scritte. Sono stato io a colorarle». Ora l’attenzione di Glotaman si sposta dai morti ai vivi, dalle pietre al loro guardiano. Tradotte dal violinista, si succedono le domande.
«Oltre ad occuparsi del cimitero, qual è il suo lavoro?». «Il falegname, sono in pensione». «Quando è arrivato in questo luogo per la prima volta?». «Nel 1987, non sapevo della sua esistenza. Ho chiesto in giro e l’ho scoperto. Qui non c’era nulla, solo una giungla con le erbacce alte. Le ho tagliate, poi ho iniziato a piantare l’ibisco, i lillà e altri fiori. Contemporaneamente andavo negli archivi per ricostruire la storia della comunità ebraica di Ostiano». L’ospite è sempre più incuriosito, quasi sorpreso, dal suo interlocutore. «Qual è la ragione che la spinge a fare tutto questo?». «La motivazione per un cattolico come me? Mi interessa la vostra cultura, mi sono recato quattro volte in Israele, in un kibbutz».
Ora tocca a Glotman rispondere: cosa pensa di Minera? «Per me è una figura affascinante. Probabilmente sente di avere una specie di missione». Glotman deve aver visitato tanti luoghi come questo, grandi o piccoli, in patria e all’estero, entrati nelle pagine di storia o no, ma quello di Ostiano gli suscita un’emozione profonda. «Tanti anni fa, durante un viaggio in Romania, in una zona che poi sarebbe stata inglobata dall’Ucraina, mia madre mi chiese di cercare il posto in cui era sepolta sua nonna, la mia bisnonna. Dovevo farmi largo tra gli arbusti con il coltello per scoprire dove fosse la tomba, che alla fine ho trovato casualmente. Ecco, questo cimitero e le sue vicende così insolite mi ricordano quell’episodio».
Dopo aver firmato il registro delle presenze, i due amici si avviano verso il Teatro Gongaza, all’interno del Castello. «È un gioiello, ho portato qui i miei studenti a suonare», racconta il violinista. La madre, Judith, è stata deportata ad Auschwitz. «Proveniva dall’Ungheria. Aveva 13 anni, è nata pochi giorni dopo Liliana Segre, che conosco bene, internata nello stesso campo di concentramento. Come lei si è salvata, le ho appena parlato. Chissà se queste due ragazzine si sono guardate negli occhi in quel lager». La coppia di artisti riparte per Casaletto Vaprio e da lì per Firenze. Minera ritorna in via Montagnetta a innaffiare i fiori, pulire i vialetti, spolverare le panchine. Doveva essere tutto in ordine per la Giornata europea della cultura ebraica 2024.
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