03 Marzo 2024 - 18:46
Uno scorcio della sede Sda a San Nazzaro di Monticelli d’Ongina. La società si è costituita parte civile
MONTICELLI - Piacenza, presso l’aula magna della scuola di Polizia che ha eccezionalmente sostituito il tribunale a causa dell’alto numero di imputati e avvocati, è iniziato nei giorni scorsi il secondo processo a carico dei ‘dipendenti infedeli’ del corriere Sda di San Nazzaro: sono accusati a vario titolo di associazione a delinquere, peculato, appropriazione indebita e ricettazione nell’ambito di ammanchi milionari dai magazzini. La maxi indagine, che aveva portato a ben 84 imputati di cui dieci già condannati, risale al 2017 e come già riferito l’azienda logistica si è costituita parte civile, rappresentata dall’avvocato Francesca Tomasello.
Alla sbarra nel rito ordinario erano finiti anche due uomini residenti in provincia di Cremona. Per gli altri imputati che hanno chiesto riti alternativi (abbreviati e patteggiamenti) la prima udienza è stata appunto nei giorni scorsi. Il giudice Erisa Pirgu ha accolto nuovamente la costituzione parte civile di Sda e durante la prima udienza la posizione di due imputati è stata archiviata perché nel frattempo sono deceduti. Per un’altra decina è stato sospeso il procedimento perché irreperibili; per ulteriori dieci (accusati di appropriazione indebita) il processo si avvia invece verso la prescrizione. Per i restanti, infine, sono state fissate udienze tra maggio e ottobre.
Come era emerso dalle indagini, e come già ricordato in aula nell’altro procedimento dal luogotenente dei carabinieri Enrico Savoli, comandante del Nucleo operativo radiomobile della compagnia di Fiorenzuola, alla Sda erano attivi due gruppi: uno mattutino e l’altro serale. Al di sotto c’era una rete di facchini che si occupava di rubare la merce e di nasconderla all’interno del magazzino, in attesa di portarla fuori. Per farlo, si avvalevano dell’aiuto di una serie di camionisti che venivano poi ricompensati. Gli autotrasportatori, una volta fuori, incontravano persone in contatto con i facchini, a volte loro familiari, che ritiravano la merce rubata e la nascondevano in case e garage. Infine, la refurtiva veniva venduta ai ricettatori.
L’indagine era stata denominata ‘Stealing Job’ e si era conclusa con 600 pagine di ordinanza, 110 capi d’accusa, 37 custodie cautelari di cui 14 in carcere, 11 domiciliari e 13 obblighi di firma. Fra le prove, centinaia di intercettazioni e refurtiva recuperata. La merce rubata veniva portata e rivenduta a Cremona, Crema, Napoli, Monza, Codogno, Torino, Milano, Pavia, Potenza, Nuoro, Abbiategrasso, oppure a Cutro in provincia di Crotone dove era diretto anche un carico di borse griffate Prada che i carabinieri della compagnia di Fiorenzuola sono riusciti a bloccare. Il sistema era ben rodato: c’era chi raccoglieva gli ordini, chi cercava all’interno del magazzino oppure intercettava durante il primo trasporto il materiale giusto, chi lo nascondeva all’interno dello stabile in attesa di trovare il momento propizio per l’uscita. E infine chi lo portava proprio all’esterno, anche con la compiacenza di alcuni vigilantes.
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