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LA STORIA

Scienziato all'estero: «Io vorrei tornare a casa ma mancano le condizioni»

Il ricercator Mezza, di Pizzighettone, parla degli ostacoli al rientro: «Economici e professionali»

Elisa Calamari

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01 Febbraio 2024 - 05:25

Scienziato all'estero: «Io vorrei tornare a casa ma mancano le condizioni»

PIZZIGHETTONE - In dieci anni è più che raddoppiato il numero degli italiani all’estero e l’incremento riguarda anche i cremonesi: sono 23.178 quelli attualmente iscritti all’Aire (48,5% donne) mentre nel 2013 erano 11.550. Dalla Lombardia il primo paese di emigrazione è la Svizzera, scelta dal 17,7% degli emigrati essenzialmente per le opportunità professionali che offre. In tanti vorrebbero tornare a vivere e a lavorare nel Paese d’origine, ma il proposito si scontra con ostacoli burocratici ed economici non indifferenti. Lo spiega bene un pizzighettonese che può entrare di diritto nel lungo elenco di ‘cervelli in fuga’: l’ingegnere Davide Mezza, 38 anni, dieci anni fa si è trasferito proprio in Svizzera, quella del Nord.


Mezza oggi lavora al centro di ricerca Paul Sherrer Institut di Villigen e si occupa dello sviluppo di rilevatori di radiazioni, in particolare a raggi X, per acceleratori di particelle e free electron laser. L’anno scorso è stato premiato con l’Early Career Award «per il contributo significativo allo sviluppo di specifici rivelatori e in particolare per la loro verifica, caratterizzazione e calibrazione». Il 38enne ha frequentato le scuole superiori al Torriani di Cremona, ha studiato alla facoltà di Ingegneria elettronica del Politecnico, conseguendo sia la laurea triennale sia quella magistrale. Ha proseguito con tre anni di dottorato di ricerca in Ingegneria dell’informazione, poi il post dottorato in Svizzera e l’inizio della sua brillante carriera nell’ambito della ricerca scientifica.

Davide Mezza premiato lo scorso dicembre dal sindaco Luca Moggi


«Se penso mai di tornare in Italia? Certo, mi piacerebbe. Molto - ammette Mezza -. I vantaggi sono elementi che possono sembrare quasi scontati ma che invece incidono parecchio sulla felicità delle persone: tornare potrebbe significare ritrovare la famiglia, gli amici, un clima decisamente più favorevole, la socialità e il tessuto sociale che sono totalmente diversi da quelli svizzeri. E poi il buon cibo, inteso anche come materie prime, e il sistema sanitario. Su quest’ultimo so che in Italia ci si lamenta tanto, ma in realtà i pro sono parecchi: prima di tutto la sanità è pubblica, poi medici e infermieri sono di alta qualità. Qua in Svizzera è tutto a pagamento e funziona con assicurazioni. C’è anche una maggiore freddezza - aggiunge - nel rapporto medico-paziente».


Il 38enne vorrebbe tornare, dunque. Ma il suo auspicio si scontra con i fattori più pratici: «Credo che l’Italia dovrebbe dare opportunità di rientro concrete, creando programmi e opportunità. Magari pensando anche a chi, nel frattempo, ha creato famiglia all’estero e quindi ha l’esigenza di trovare occupazione anche per marito o moglie. Purtroppo invece, per quanto riguarda il lavoro, se uno ha una posizione ormai stabile come la mia, è davvero difficile trovare qualcosa che si avvicini all’equivalente. Innanzitutto gli stipendi fuori dall’Italia sono molto più alti e il ‘salto’ diventerebbe enorme. Poi, nel mio caso, c’è un altro fattore non da poco: i fondi per finanziare la ricerca. C’è talmente tanta burocrazia che spesso, anche quando ci sono, diventa molto più complesso utilizzarli». Insomma, il sogno si scontra con la realtà. Quella che, negli ultimi dieci anni, ha spinto sempre più cremonesi a lasciare il Paese. E che spesso impedisce loro di tornare, anche se vorrebbero davvero farlo.

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