14 Novembre 2023 - 05:10
Sono passati più di vent’anni, da quando mi avventurai nel mondo dell’arte digitale, attratto dalle potenzialità di software come Photoshop. Nonostante il mio entusiasmo, molti critici erano scettici riguardo al mezzo e sostenevano ‘fa tutto il computer’.
Ma con il passare del tempo l’arte digitale ha guadagnato legittimità e riconoscimento, mentre sono fiorite scuole di computer graphics a testimonianza che no, non faceva tutto il computer. Oggi i software basati sul machine learning stanno guadagnando popolarità. Programmi come Dall-e, Stable Diffusion e Midjourney possono creare immagini dettagliate da semplici comandi testuali.
È importante notare che questi software non sono esseri pensanti dotati di una propria volontà; sono piuttosto modelli algoritmici basati su enormi quantità di dati creati dagli umani, su cui lavorano su base statistica allo scopo di rispondere con successo alle nostre richieste. Se inserisco il comando testuale ‘un gatto’ in un software come Midjourney, questo strumento, che per essere costruito ha ‘mangiato’ moltissime foto di gattini etichettate con la parola ‘gatto’, plasmerà l’immagine di un gattino inesistente. Gli ingredienti che rendono possibile la magia sono essenzialmente il materiale di partenza (moltissime foto, alcune di gatti), il modo in cui viene catalogato (‘questa immagine è una foto di un gatto che soffia’), la potenza di calcolo della macchina e il metodo con cui viene addestrata.
Ed è grazie a quel metodo che si estrapola una immensa rete di relazioni invisibili, in questo caso tra parole e pixel. Questo ci riporta a vecchie domande sul ruolo dell’autore e dell’arte. La prima è se questo mezzo che con tanta facilità permette di realizzare ogni tipo di fantasia possa fare opere d’arte – e l’inghippo sta nel ‘con tanta facilità’ —, che è lo stesso errore avvenuto in passato con la fotografia. Anche all’epoca dei primi dagherrotipi, infatti, ci si chiedeva se fosse possibile che uno strumento che con tanta facilità creava una rappresentazione realistica del mondo fosse in grado di generare opere d’arte. Baudelaire non aveva dubbi: no. La principale paura del poeta era che la facilità di realizzazione avrebbe moltiplicato a dismisura le opere dozzinali. E a distanza di secoli possiamo dire che aveva perfettamente ragione. Il suo torto era piuttosto credere che questo strumento non potesse dar luogo a opere d’arte. Si sbagliava. Perché, banalmente, non era un bravo fotografo. Ormai sappiamo bene che non basta una macchina fotografica per fare un fotografo. La macchina fotografica è uno strumento complesso, non solo per quel che riguarda il suo utilizzo tecnico, ma anche e soprattutto per quella che è la scelta, il taglio, lo sguardo di chi opera la fotografia.
Fare buone foto, per non dire foto artistiche, è apparentemente facile; ma tra milioni, o meglio miliardi di foto amatoriali, solo una sparuta minoranza si è elevata all’empireo dell’arte. La quantità, insomma, non è legata alla qualità e alcune fotografie hanno tanto valore quanto altre opere d’arte, a dispetto della loro riproducibilità.
Se si osserva il passato remoto della fotografia, noteremo inoltre che anche le paure di chi si occupava di pittura si sono dimostrate spesso infondate, sebbene l’impatto di questa tecnica abbia portato la pittura verso altri lidi, più astratti e concettuali. D’altra parte, è difficile che un media ne esili un altro se le sue funzioni non vengono del tutto sostituite e migliorate. La pittura è un prodotto culturale con funzioni e caratteristiche diverse dalla fotografia e per questo le sopravvive (un po’ come i libri cartacei, ancora vivi nonostante l’avvento del digitale).
Il motivo? Sono mezzi con potenzialità, pregi e difetti diversi, al netto delle somiglianze.
È – o sarà – quindi possibile creare opere d’arte con questi nuovi software? La mia risposta è senza dubbio positiva. Del resto, il XX secolo ci ha mostrato che l’arte si può fare con qualsiasi cosa: pensiamo a Duchamp, con la sua Fontana; o a Manzoni, con la sua merda d’artista.
Le IA sono strumenti complessi, con molteplici possibilità di azione creativa: allora perché non dovremmo farci arte? Si potrebbe obiettare che questi software sono limitati dalle immagini che hanno ‘mangiato’ e che dunque riproporranno stili che, per quanto suggestivi, sono basati esclusivamente su quelli già esistenti; mancherebbe insomma l’elemento di novità tipico dell’arte.
L’ultima parola non spetta alla macchina, ma agli umani. Imitare un dipinto di Vermeer difficilmente porterà alla nascita di un capolavoro equiparabile a quelli del pittore olandese. E mescolare il suo stile con quello di altri autori e autrici, dando in pasto alla macchina diverse e inaspettate composizioni di parole chiave, notare nelle creazioni del programma quelle che per qualche colpo di fortuna (o virtuoso errore) non restituiscono un quadro di Vermeer ma qualcosa di decisamente altro, di nuovo, e portarlo avanti in nuove variazioni… insomma, riconoscere e utilizzare gli stilemi e gli errori della macchina nell’obbedire ai comandi porterà le uniche intelligenze in campo, ovvero le nostre, a inventare qualcosa di nuovo.
La potenzialità creativa di questi nuovi mezzi risiede – come spesso accade nell’arte – soprattutto nei suoi errori e spetterà solo a noi non considerarli tali, ma trovare in essi nuove e inaspettate strade da percorrere.
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