18 Giugno 2023 - 05:00
«È stata solo una bravata, vedrai che sistemeranno tutto». È semplicemente pazzesca (ma sarebbe meglio dire criminale) la frase — riportata da testimoni — con la quale il padre di uno del gruppo di youtuber The Borderline, attivo anche su Tik Tok, ha rassicurato il figlio appena sceso dal suv Lamborghini che, lanciato a folle velocità in ‘zona 30 all’ora’ mercoledì pomeriggio a Casal Palocco, periferia sud di Roma, ha ucciso il piccolo Manuel, 5 anni, dopo aver centrato la Smart sulla quale viaggiava con la madre e la sorellina, finiti entrambi in ospedale.
In un contesto famigliare così, come stupirsi se uno dei quattro che stavano sulla supercar per il challenge ‘50 ore a bordo di una Lamborghini Urus’ appena sceso dopo la tragedia, con il corpicino del povero Manuel ancora sulla strada, «sorrideva senza ritegno», come ha sottolineato con indignazione chi c’era, e si preoccupava di filmare la scena dell’incidente per poter poi postare il tutto a caccia di nuovi follower. Missione compiuta, se ieri The Bordeline raggranellava 24mila ‘seguaci’ in più rispetto agli oltre 600mila di prima dell’incidente.
Centinaia di migliaia di fan significa molte centinaia di migliaia di visualizzazioni dei video su YouTube, ognuna delle quali porta in cassa un po’ di spiccioli, che assommati fanno cifre a cinque zeri e vanno a incrementare il gruzzolo degli incassi delle immancabili sponsorizzazioni delle scellerate ‘imprese’. Il collettivo di youtuber The Borderline non è fatto da romantici giovanotti a caccia di sfide epiche, ma di grandi capitali, per accumulare i quali sono disposti a correre rischi estremi, anche quello di uccidere, come abbiano visto. È semplicemente tutta questione di visibilità, che porta quattrini.
The Borderline è una srl con capitale sociale di 10mila euro che lo scorso anno ha registrato un fatturato di 188.333 euro. Insomma questi ‘bravi ragazzi’ portano a casa soldi. E allora perché stupirsi se il padre di uno di costoro si coccola il figlio-salvadanaio e cerca di proteggerne gli affari? Questa drammatica vicenda pone mille domande. Secondo le regole di esercizio della piattaforma YouTube, che ospita i challenge, le sfide pericolose sono vietate: dov’era il grande occhio che avrebbe dovuto controllare e censurare la folle impresa? L’incidente mortale è avvenuto mercoledì, ma il suv sfrecciava ad alta velocità in zona già da molte ore: nessuno, neppure tra le forze dell’ordine, l’ha visto o segnalato al fine di bloccare la folle corsa? I sociologi in questi giorni hanno sezionato e analizzato il fatto di Casal Palocco da ogni punto di vista. L’attenzione dei media è stata spasmodica. Ma le domande fondamentali restano queste: le famiglie di questi ragazzi dove sono? Il controllo sociale non esiste più? Quella della tragedia è stata solo l’ultima di una lunga teoria di sfide folli.
Per dirne solo una: l’antipasto di quella con il suv assassino era stato un analogo challenge, sempre di 50 ore a fila, stavolta a bordo di una Fiat 500. Lo psicanalista Massimo Recalcati, docente allo Iulm di Milano e all’Università di Verona, si rifà a Jacques Lacan, che già alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso parlava di «evaporazione del padre» (o «sfaldamento del Nome del Padre»). Relegando in secondo piano la figura e la funzione della paternità — questa la teoria in estrema sintesi —anche i concetti dell’etica e dello sviluppo della volontà vengono disattivati; il dovere è considerato quasi una brutta parola; il diritto perde il suo lato scomodo, di ciò che dobbiamo agli altri, per diventare esclusivamente acquisitivo: ciò che gli altri devono a noi. Quell’orrenda frase del padre di uno degli youtuber citata all’inizio nasce proprio da qui. Sempre per dirla con parole di Recalcati, una volta evaporata la figura genitoriale, resta il vuoto, mentre noi «abbiamo bisogno di padri testimoni, che sanno dare peso alla parola».
E, si potrebbe aggiungere, all’esempio quotidiano. Per le sue modalità e per gli assurdi comportamenti dei protagonisti, la tragedia di Casal Palocco ha scioccato l’Italia, aumentando la percezione di un Paese alla mercé di bande di sconsiderati tesi solo all’aggiramento delle regole, all’inseguimento della visibilità costi quel che costi. Ci siamo interrogati tutti: ma in che Paese viviamo? Dandoci la risposta più immediata ed emotiva: è allarme sociale. Un po’ come la percezione che ci sono l’emergenza criminalità o immigrazione quando le statistiche dicono che i reati sono in diminuzione e che i migranti clandestini in arrivo sono, numeri alla mano, un fenomeno più contenuto di quanto non si pensi, soprattutto se paragonati agli ingressi di altri Paesi europei.
D’altra parte, come si spiega nel recente studio pubblicato da Nature a firma di Adam Mastroianni della Columbia University a New York e Daniel Gilbert della Harvard University a Cambridge, recensito dal Post, è percezione costante negli ultimi settant’anni e in tutto il mondo di declino morale della società. Un crollo di valori, e qui sta l’aspetto più interessante, che secondo gli intervistati nelle decine di sondaggi effettuati nel corso dei decenni, riguarda il macro, non già il micro: il mondo sta peggio certo, ma intorno a me ci sono più gentilezza e maggiore buona educazione che in passato. Insomma: il problema riguarda gli altri, come quasi sempre accade quando si analizzano mode socialmente ritenute negative. Il fenomeno social delle challenge si inserisce in questo contesto. Non si tratta di uno scenario solo italiano, ma mondiale.
È di ieri la notizia di una influencer cinese di 21 anni morta durante un tentativo di perdere quasi 100 chili in un campo di addestramento per dimagrire, sotto i riflettori del media statale cinese Cnr news che poi, secondo la Cnn, avrebbe tentato di occultare la vicenda sul suo account Weibo. Secondo un recente studio del Centro nazionale dipendenze e doping dell’Istituto Superiore di Sanità, tra gli studenti di età tra gli 11 e i 17 anni il 6,1%, in tutto circa 243mila dei ragazzi intervistati, ha partecipato almeno una volta nella vita a una sfida social pericolosa. Numeri che non vanno sottovalutati, davanti ai quali è necessario mettere in azione ogni anticorpo del quale disponiamo, dal controllo sociale alla fissazione di regole stringenti e di controlli e sanzioni senza sconti. Ma non rappresentano realmente l’Italia.
Il Belpaese è costellato di iniziative di coesione della comunità, basti pensare al Terzo settore che costituisce uno dei collanti fondamentali della tenuta della comunità, delle relazioni sociali. Per restare a casa nostra, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale in provincia di Cremona sono oltre cinquecento e coprono la totalità delle nostre comunità locali. I cremonesi attivi in questo senso sono decine di migliaia. Sono loro a garantire il primo controllo sociale sul territorio. Incredibile l’esempio di Pessina Cremonese: 564 abitanti censiti a gennaio, circa 250 dei quali volontari con l’Auser. Un presidio che certo non risolve il problema, ma può contribuire ad arginarlo. Se il challenge killer degli youtuber romani fosse andato in scena sulle nostre strade, probabilmente qualcuno se ne sarebbe accorto e l’avrebbe segnalato a chi di dovere prima che diventasse mortale.
S.E.C. Spa – Divisione Commerciale Publia : P.IVA 00111740197
Via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona : Via Cavour, 53 - 26013 Crema : Via Pozzi, 13 - 26041 Casalmaggiore