13 Giugno 2023 - 21:00
L'omicida Domenico Gottardelli e il luogo del delitto
RIVOLTA - «Ho sparato. Io e Fausto eravamo amici da parecchi anni. Andavo in vacanza nella sua casa in Tunisia. Non è vero che non me l’ha più data, perché avevo rapporti sessuali con ragazzini minorenni. Sì, in Tunisia ho avuto relazioni sia con maschi sia con femmine. Con maschi minorenni? Ma no! Se facciamo cose del genere ti arrestano e non sai più quando esci. Ne hanno dette di cotte e di crude».
La pedofilia è il presunto, inedito, movente che irrompe, oggi, nell’aula della Corte d’Assise. Sul banco degli imputati c’è Domenico Gottardelli, natali a Covo (Bergamo), idraulico in pensione, 79 anni compiuti il 4 giugno scorso nel carcere di Cremona. Il pm Francesco Messina gli contesta l’omicidio volontario aggravato dalla premeditazione. La mattina del 14 settembre di un anno fa, mercoledì, da Covo Gottardelli salì sulla sua 2 Cavalli, viaggiò per dieci chilometri con un fucile Beretta calibro 12 sul sedile. Raggiunse il parcheggio della Classe A Energy, a Casale Vidolasco, la ditta dell’amico Fausto Gozzini, 61 anni, villa a Romano di Lombardia, nella Bergamasca. Entrò negli uffici, freddò con una fucilata l’imprenditore.
«Perché, perché?», disse Gozzini ferito all’addome da un solo proiettile esploso dal fucile Beretta calibro 12. Un colpo mortale. «Aveva una relazione con la mia cameriera. Mi hanno rubato più di 300 mila euro che avevo in garage», è il movente che l’anziano racconta da quel mercoledì di sangue e manette. Ma ad allungare l’ombra della pedofilia su Gottardelli è l’avvocato di parte civile, Emilio Gueli, legale di Renata Galbiani e di Marcello Gozzini, vedova e uno dei due figli dell’imprenditore (l’altro figlio Marco è parte civile con l’avvocato Alessandro Pasta).
In aula emerge che nella primavera di un anno fa, Gozzini ricevette informazioni da Luigi, il vicino di casa a Susa in Tunisia, e dallo stesso factotum tunisino dell’imprenditore. La vedova racconta: «Luigi voleva prendere in affitto la casa. A mio marito disse che era un andirivieni di giovani minori, una sorta di sexy shop. E il factotum gli raccontò di questo presunto traffico di pedofilia». Camillo Calì è il comandante del Nucleo Investigativo dell’Arma che indagò sul movente: «Ci siamo concentrati sui viaggi in Tunisia. Gottardelli passava parecchi mesi a Susa nell’appartamento del signor Gozzini. Abbiamo sentito la moglie e il figlio Marco. Ci hanno raccontato che nel mese di maggio, si presentò in ditta, richiedendo a Fausto di poter tornare in Tunisia».
Ma l’amico si rifiutò, «perché avevano saputo che Gottardelli in Tunisia aveva avuto problemi con la giustizia. Riceveva ragazzi minori. Noi volevamo sentire il factotum». Lo chiamarono più volte, senza risposta. «Quando siamo riusciti a contattarlo, gli abbiamo chiesto se potesse venire a Cremona, ma lui ha detto di no per una questione di documenti».
Torna al presunto movente choc, la vedova. «Quando lo ha saputo, mio marito rimase stupito. Io gli consigliai di non dargli più l’appartamento Ero presente quando a maggio Gottardelli venne in ditta. Mio marito gli disse: ‘Non te la do più la casa in Tunisia’. ‘Ma cosa ti hanno detto?’ , rispose lui: una frase ripetuta più volte. Mio marito, nonostante la sua insistenza, non gli disse che aveva sentito che lì dentro si portava bambini. Della cosa lo sapeva il socio di mio marito. Mio figlio Marco aveva sospettato che gli piacessero i ragazzini». Insiste il presidente della Corte: «Suo marito non specificò il motivo imbarazzante?». «No».
Pantaloni e t-shirt beige, seduto accanto ai difensori Santo Maugeri e Pietro Mazza, Gottardelli, trapiantato di fegato in passato, ascolta. Poi, si difende. Non cambia di una virgola la sua versione resa al gip durante l’interrogatorio di garanzia, 9 mesi fa. Racconta dei «340 mila euro presi un poco alla volta», cinque anni prima del delitto, dalla vendita di una sua casa a Predone, sul lago d’Iseo, sponda bergamasca. «Io e Fausto eravamo amici da parecchi anni. Lui frequentava la mia cameriera, entrava in casa, hanno preso i soldi in garage». Poi la butta lì. «Ho fatto una gran stupidata, chiedo scusa alla famiglia».
Spiega che «per cinque anni continuavo a macchinare, macchinare, macchinare. Sono scoppiato». Quando? «Dev’essere stato l’11 settembre. Dovevo andare a Treviglio per un controllo. Sono tornato a casa verso le 16.30-17. Ho visto il lenzuolo stropicciato. Sono sincero: questa cosa mi ha fatto scattare». Del «lenzuolo stropicciato», Gottardelli ha parlato agli psicologi che, su incarico della difesa, sono andati in carcere a visitarlo. Uno è Marco Frongillo. L’altra è Moira Liberatore. «Gottardelli ha spiegato che quel giorno è scaturita la decisione dalla percezione di una piega del lenzuolo. Era entrato in casa, il lenzuolo era stropicciato. Ha parlato di un rapporto sessuale tra la cameriera (lavorava per lui da 28 anni) e il suo amico. Questo ulteriore ‘oltraggio’ lo avrebbe determinato. Lo raccontava con soddisfazione e serenità. Verso la vittima non aveva sentimenti di rabbia o di rancore, ma nemmeno di compassione».
Il presidente guarda negli occhi Gottardelli: «Non si ammazza per un sospetto. Si fa denuncia. Dica la verità, forza che è meglio per lei: qual è il motivo vero? ». E lui lo ripete: «Siccome con la cameriera lui veniva lì, mi hanno rubato i soldi». «Lei ha riflettuto su quello che ha fatto? Ha ucciso un uomo». Gottardelli dice di «comportarsi benissimo in carcere, per fortuna sono tranquillo, sono in infermeria, cerco di stare calmo, tranquillo». La Corte dispone una perizia per verificare se l’anziano fosse capace di intendere e di volere al momento del fatto e sulla eventuale incompatibilità del regime carcerario con le sue condizioni di salute. L’incarico sarà conferito all’udienza del 27 giugno prossimo.
Dopo la fucilata, «si è seduto sul divano accanto a mio marito. Non ha detto niente. Sogghignava». La vedova di Gozzini ritorna alla mattina del 14 settembre, quando «intorno alle 9.30 ho visto che è arrivato Gottardelli». Lei era in ufficio a sbrigare delle pratiche. «Ho sentito un rumore molto forte. Ho alzato gli occhi. Ho visto che Gottardelli guardava per terra come se cercasse qualcosa». Quel «rumore molto forte» era il primo colpo esploso accidentalmente sul pavimento.
«Mio marito è andato verso la porta per aprirla. Ha detto: ‘Cosa è successo?’. Come apre la porta, io vedo una cosa scura alzarsi (il fucile, ndr) e sento il secondo sparo. Mio marito ha detto: ‘Perché? Perché?’. Non è morto subito. Si è seduto sul divano che è fuori dall’ufficio. Gottardelli ha fatto due passi, si è seduto anche lui sul divano. Io ho preso il fucile e l’ho allontanato. Ero al telefono con il 118, non si è neanche alzato per stendere mio marito sul divano, non mi ha dato una mano. Non ha detto niente, sogghignava. Io ho pensato che il secondo colpo fosse per me».
La vedova racconta dell’amicizia di Gottardelli con il marito. «Si vedevano due, tre volte all’anno. Andavano in Tunisia nella casa di mio marito, poi lui sia era proprio stabilito in quella casa una o due volte all’anno. Quando ritornava in Italia, gli diceva ‘Ho fatto dei lavoretti, ho sistemato’, chiedeva a Fausto una retribuzione». La vedova racconta di quella volta in cui «mio marito aveva una causa civile nei confronti del titolare di un’altra società. Mio mio marito ha poi vinto la causa. Gottardelli era amico di entrambi, prese le parti di mio marito. Entrò in ufficio e parlando con Fausto, gli disse: ‘Lo faccio fuori io in cambio di qualcosa, tanto non mi possono far niente’ in relazione ai suoi problemi di salute. Fausto commentò che Gottardelli era un lupo travestito da agnellino».
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