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PENSIERI LIBERI

La guerra è peccato e la pace è l’unica vera convenienza

Perché don Primo Mazzolari, Papa Giovanni XXIII e Papa Francesco hanno saputo guardare lontano, ma sono ancora oggi incompresi

Bruno Bignami (direttore Ufficio Problemi sociali e del Lavoro Cei)

18 Aprile 2023 - 05:25

La guerra è peccato e la pace è l’unica vera convenienza

Il 12 aprile 1959 moriva a Cremona, nella clinica san Camillo, don Primo Mazzolari, apostrofato da Giovanni XXIII «tromba dello Spirito Santo in terra mantovana». Quattro anni dopo (11 aprile 1963), il Papa bergamasco pubblicava l’enciclica ‘Pacem in terris’, un documento che mantiene tutta la sua giovinezza. A sessant’anni di distanza, in quel testo troviamo una grammatica della pace che ancora fatichiamo a coniugare. Non perché sia impossibile, ma perché ci manca l’allenamento.

La pace, come anche la fraternità, non si improvvisa. Non è la semplice assenza di guerra, ma è l’esercizio di buone relazioni. Non stupisce che oggi papa Francesco in Fratelli tutti invochi «artigiani di pace». Cosa c’è di Mazzolari nella Pacem in terris? Molto più di una sintonia. E per verificarlo basterebbe leggere in sequenza il Tu non uccidere e l’enciclica. Don Primo è convinto che la pace non sia disponibile a buon mercato. Solo alla luce del mistero della croce, infatti, si può vedere la fecondità della pace. Ne aveva fatto esperienza diretta lui stesso durante le due guerre mondiali del Novecento.

Quante sofferenze condivise! Ha assistito a tanta violenza da segnalare la contraddizione tra la fede in Cristo che ama tutti in croce e la guerra che dichiara l’altro come nemico. Nella croce Gesù «è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola» (Ef 2,14). Per la pace bisogna agonizzare. Essa ha un valore così alto che occorre domandarla per tutti, anche per chi non la merita. Non si può approvare l’assuefazione all’uso delle armi che fomenta i conflitti.

Chi accetta la necessità della guerra, scriveva Mazzolari, «si schioda dalla croce non potendone sopportare l’impotenza nel fare la giustizia». Inoltre, in don Primo emerge forte la consapevolezza che la corsa al riarmo è uno scandalo. Toglie il fiato all’umanità: «Se quanto si spende per le guerre, si spendesse per rimuoverne le cause, si avrebbe un accrescimento immenso di benessere, di pace, di civiltà: un accrescimento di vita». E Giovanni XXIII rincara la dose, osservando che la guerra finisce per regolare i rapporti sociali solo «per mezzo della forza» (PT 3).

Don Primo Mazzolari

La corsa agli armamenti mostra pochezza umana e mancanza di creatività. Armarsi è il modo peggiore per affrontare i conflitti, perché mette nelle condizioni di chiudersi a qualsiasi possibilità di dialogo. Per papa Roncalli «le controversie fra i popoli non debbono essere risolte con il ricorso alle armi; ma invece attraverso il negoziato» (PT 67). I rapporti di forza accrescono la cultura del nemico e contrastano la cultura della cura. Una buona grammatica della pace comporta allenamenti quotidiani al dialogo. Pensare di risolverla con armi sempre più sofisticate e potenti è illusione destinata al fallimento. Ogni prova di forza peggiora e incancrenisce le relazioni nell’inimicizia, più che favorire la loro evoluzione nella fraternità.

Non a caso, a livello economico Pacem in terris denuncia gli investimenti in «armamenti giganteschi» (PT 59), quasi che la pace possa stare in piedi sulla paura. In realtà, ciò ha portato gli uomini a vivere «sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi in ogni istante con una travolgenza inimmaginabile» (PT 60). Il ricorso al nucleare rappresenta un mezzo così distruttivo da violentare la speranza. A forza di produrre armi ci mettiamo nelle condizioni di doverle usare. Giovanni XXIII propone un «disarmo integrale» (PT 61) che coinvolga innanzitutto gli spiriti per dissolvere «la psicosi bellica».

Papa Giovanni XXIII


Infine, il parroco di Bozzolo ha spinto il cuore oltre l’ostacolo per arrivare a concludere che non è più possibile parlare di guerre giuste e ingiuste. È un vecchio schema da superare: «Ogni guerra è peccato, fare la guerra è peccato. Oggi però la teologia, soprattutto dopo l’esperienza delle ultime due guerre mondiali, ripreso in esame, a fondo, tutto il problema della guerra, sta rivedendo arditamente le antiche teorie, intonandosi meravigliosamente con il sentimento ed il pensiero del grosso dei cattolici e con la fame e sete di pace della povera gente. Questa posizione va decisamente verso il superamento della distinzione tra guerra giusta e ingiusta».

Ad una analoga conclusione giunge anche Giovanni XXIII, che dichiara: «Riesce quasi impossibile pensare (alienum est a ratione) che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia» (PT 67). Si è aperta la stagione delle grandi scelte per la famiglia umana e per la Chiesa stessa. Si tratta, in sostanza, di abolire la guerra come mezzo di soluzione dei conflitti. Lascia solo macerie e devastazioni, violenza e sete di vendetta. Come ha ricordato papa Francesco, «di fronte al pericolo di autodistruggersi, l’umanità comprenda che è giunto il momento di abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell’uomo prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla storia».

Papa Francesco


Quante analogie tra la crisi della guerra fredda all’epoca di Mazzolari e papa Roncalli e l’odierna condizione di «guerra mondiale a pezzi». Il vento gelido bellico lascia dietro di sé solo morte. Oggi come allora invochiamo un’autorità internazionale al di sopra delle parti, capace di intervenire a difesa delle vittime innocenti e con la credibilità di far sedere i contendenti al tavolo delle trattative. Scriveva il Santo Pontefice: «Auspichiamo pertanto che l’Organizzazione delle Nazioni Unite - nelle strutture e nei mezzi - si adegui sempre più alla vastità e nobiltà dei suoi compiti; e che arrivi il giorno nel quale i singoli esseri umani trovino in essa una tutela efficace in ordine ai diritti che scaturiscono immediatamente dalla loro dignità di persone; e che perciò sono diritti universali, inviolabili, inalienabili» (PT 75).

Come a dire, l’assenza dell’ONU è un lusso che non ci possiamo permettere e va a scapito dei poveri. Mazzolari e Giovanni XXIII sono stati artigiani di pace. Hanno saputo guardare lontano, e per questo sono ancora oggi incompresi dalla schiera dei mediocri allergici alla profezia. Entrambi avevano provato sulla loro pelle che con la guerra tutto è perduto. La pace è l’unica vera convenienza.


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