ACCORPAMENTI TRA COMUNI
15 Novembre 2022 - 05:10
Filippo Raglio, coordinatore provinciale della Lega Giovani
CREMONA - Il segretario provinciale dei giovani democratici Nicola Cantarini, nei giorni scorsi, ha promosso le fusioni e lanciato un appello agli omologhi degli altri partiti affinché facessero un passo avanti nel vivo del dibattito. E la palla è stata raccolta al balzo da Filippo Raglio, coordinatore Lega Giovani provinciale di Cremona, consigliere comunale a Vescovato e consigliere provinciale che sgombra il campo da ogni dubbio: «Tema importante ma noi, alle fusioni, preferiamo le unioni e le aziende consortili. Sì al miglioramento dei servizi ma i grandi centri non devono schiacciare gli interessi dei piccoli. La geografia della provincia cremonese, basata su piccoli Comuni, aggrava sicuramente il problema delle diseconomie di scala nella produzione dei servizi pubblici. Ha fatto bene — dice — il mio omologo dei giovani del Pd a lanciare la discussione».
Stessa voglia di risolvere il problema ma visioni diverse: «Mi sento di discostarmi da alcune delle posizioni di Cantarini: non mi è piaciuto il modo di bollare la resistenza alle fusioni dei piccoli Comuni, come del campanilismo». Per la segreteria leghista le forzature sono controproducenti: «Pensare di imporre le fusioni scavalcando il verdetto campanilista dei cittadini nei referendum è improponibile. In secondo luogo, non vorrei che l’invocato interesse di territorio diventi una copertura delle ingiustizie che possono crearsi tra le realtà che si fondono: quella più grande, o quella dotata di una classe dirigente più risoluta, potrebbe benissimo prendere il sopravvento».
«Il bivio tra l’utopia efficientista e questa distopia è tracciato dalla valutazione di delicati equilibri locali — analizza Raglio — che non possono essere conciliati con un approccio pilotato dall’alto dai partiti, né tanto meno dai capoluoghi di zona che tendono naturalmente ad inglobare i vicini. Di conseguenza nei casi in cui non si presentino le condizioni ottimali, penso che sia più corretto adottare i soli strumenti meno invasivi, quali sono le unioni dei Comuni e le aziende consortili. Ad oggi le unioni consentono di salvaguardare l’indipendenza degli enti e il loro diritto di rescindere una situazione svantaggiosa. Esse presentano sicuramente una scomodità istituzionale, che aggrava l’impegno degli amministratori locali sdoppiandone il ruolo a livello comunale e a livello unionale, ma se questo tutela l’interesse delle comunità, io dico: ben venga».
Unioni sì, dunque, ma dopo i numerosi fallimenti del passato, meglio ripensarle: «Ad ogni modo occorre pensare, anche sulla base delle esperienze che nella nostra provincia già abbondano, a come migliorare lo strumento dell’Unione. Mi permetto infine di allargare il focus del dibattito, ricordando che le economie di scala saranno sicuramente utili per migliorare i servizi, ma non sono la panacea di tutti i mali dei piccoli Comuni».
L’appello finale è un ritorno ai temi cari al partito, dall’autonomia al decentramento: «Vorrei che noi piccoli enti, anziché pensare di colmare la concorrenza con le grandi città solo tagliando i costi, iniziassimo a costituire un fronte contro l’ingiustizia nel trattamento rispetto ai grandi centri come Roma, Napoli, ma anche Torino, che vede lo Stato puntualmente intervenire con ripiani e rinegoziazioni dei debiti. Noi di provincia, quindi, finanziamo con le nostre tasse i servizi con i quali le città ci fanno concorrenza demografica, attraendo persone e spopolando ulteriormente il nostro territorio. Parimenti trovo iniqua la distribuzione di alcuni fondi strategici. Pensiamo ai progetti Pnrr per la mobilità sostenibile: si stanno finanziando nuove linee tranviarie e autobus elettrici in tutte le città, mentre alla ben più bisognosa rete ferroviaria regionale del Centro-Nord non sono destinate che briciole».
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