22 Agosto 2021 - 09:34
Maurizio Martina
CREMONA - A partire dal 2015 la fame nel mondo è cresciuta, con un trend che ha fatto purtroppo registrare un’ulteriore accelerazione negli ultimi 12/18 mesi anche a causa della pandemia. Di questo passo, l’obiettivo ‘fame zero nel 2030’ fissato dall’Onu rischia di non essere raggiunto. Per questo già il mese scorso abbiamo lanciato un appello pressante alla comunità internazionale, chiedendo che ogni Paese raddoppi gli sforzi e le risorse destinati alla lotta contro la fame».
L’emergenza è grave e non può certo passare sotto silenzio per Maurizio Martina, ex segretario Pd ed ex ministro delle politiche agricole, dal gennaio scorso vice direttore generale della Fao.
«Servono più fondi, anche perché i fronti aperti sonno molti», ricorda. «Noi in particolare ci concentriamo su strategie di sviluppo agricolo, capaci quindi di andare oltre il problema del momento. E lo facciamo soprattutto nei Paesi più colpiti dalla fame, per mettere a disposizione delle comunità non solo aiuti, ma mezzi di sostentamento: è il caso dei sistemi irrigui, di allevamento, di conoscenza e formazione dedicati principalmente alle donne e ai giovani. Nell’Africa messa in ginocchio dall’invasione delle locuste come in molte altre realtà, le politiche di sviluppo agricolo sono essenziali. Cerchiamo di favorire l’innovazione e lo sbocco sui mercati non solo locali, avendo come priorità l’agricoltura familiare che - specie nei Paesi più colpiti dalla fame - può realmente fare la differenza».
Ma l’elenco delle situazioni difficili continua a crescere. «Purtroppo sì. Da Haiti all’Afghanistan: due casi diversi, ugualmente drammatici. Il caso afghano è molto delicato; noi, però, speriamo di poter continuare a lavorare, in continuità con i molti progetti avviati e realizzati in questi anni. Ricordo in particolare quello portato avanti insieme ad Ifad (il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo dell’Onu, ndr) per la formazione di circa 4.000 donne divenute imprenditrici in cooperativa soprattutto nel settore lattiero caseario. Questo e non solo. In Afghanistan abbiamo sistemato 17 canali irrigui, aiutato oltre 160 mila allevatori a gestire meglio le loro mandrie, lavorato nel nord del Paese ad un importante piano di forestazione. Iniziative che hanno dato un grande aiuto alle comunità locali, e che speriamo di poter proseguire; anche se oggi tutto è una grande incognita».
Dunque, l’agricoltura come arma fondamentale contro la fame e per lo sviluppo, in uno scenario chiamato in Europa anche a fronteggiare sfide e vincoli posti dalla nuova Pac. «La questione cruciale, nel vecchio continente come ad ogni altra latitudine, sta nel conciliare al meglio la transizione agroalimentare con quella ecologia, la produzione e l’ambiente. L’Europa ha indicato le sue priorità e la sua strategia, che secondo me va nel verso giusto: però deve essere verificata e gestita ogni giorno, passo dopo passo, e gli agricoltori devono esserne i protagonisti. Sappiamo bene che allineare politiche ambientali ed agricole non è facile. Bisogna costruire una vera sintonia operativa che tenga nella giusta considerazione tutti gli aspetti in gioco, inclusi quelli economici e sociali. E per fare questo non basta indicare obiettivi macro. L’Europa ha aperto questa sfida, e ora deve lavorarci con il massimo impegno».
«Nessuno deve sentirsi estraneo a questo obiettivo. Occorrono flessibilità e capacità di ascolto, non ha senso criminalizzare determinati settori né fare di ogni erba un fascio. Bisogna lavorare insieme, consapevoli del fatto che il cambiamento climatico nel quale già ora viviamo impone anche un cambiamento di modello. Prima possibile e prima che sia troppo tardi».
Una partita che ha bisogno del protagonismo dei giovani. «Fanno molta fatica ad affacciarsi al mondo dell’agricoltura, ma quando accade il beneficio per le imprese ed il comparto è dieci volte superiore a quello che ci si aspetterebbe. La potenza del rinnovamento generazionale in agricoltura è straordinaria, in termini di innovazione ma anche di produttività. Quindi bisogna tenere alta l’attenzione su questo tema, costruendo e rafforzando politiche a sostegno del rinnovamento generazionale. Non è facile ma si può. Magari partendo da tanti casi di successo che meritano di essere riconosciuti».
Anche innovazione e nuove tecnologie hanno un ruolo fondamentale, e Martina le inquadra così: «L’innovazione è decisiva pure per la sfida ambientale. Ma bisogna garantire anche alle pmi agricole la possibilità di accedervi. Non basta che sia appannaggio di pochi grandi, deve essere per tutti. Penso al tema del digitale, a quanto conta nei processi organizzativi agricoli e agroalimentari. L’innovazione può favorire in modo straordinario sia l’impatto ambientale che la produttività e dunque la redditività. Deve essere a disposizione di tutti. Quanto alle nuove tecnologie, ricordo che negli anni del ministero (era il 2015) abbiamo aperto brecce di novità che adesso si stanno rivelando vincenti, chiedendo all’Europa - insieme agli olandesi - di riprendere in mano il dossier sulla cisgenetica, oggi per fortuna molto più condivisa di un tempo e vicina ad una possibile svolta. Credo sia giusto lavorarci, con prudenza ma anche con la necessaria apertura».
Dall’Europa al modello lombardo e cremonese, basato su agricoltura e zootecnia intensive sempre più sotto attacco mediatico. «Ho sempre pensato che non serva additare un settore a capro espiatorio. Anche nel comparto zootecnico ci sono grandi esperienze di innovazione, sostenibilità, benessere animale e di forte progresso; non ha senso discutere in termini generali o generici».
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