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PENSIERI LIBERI

E adesso l’Europa ritrovi la sua anima

Sotto la spada di Damocle della guerra globale nucleare, oggi è sull’orlo dell’abisso. E lo è anche l’umanità intera. Ma di fronte alla possibilità inedita dell’autodistruzione può diventare fucina di un umanesimo planetario imperniato sulla coscienza di comunità

25 Marzo 2025 - 05:30

E adesso l’Europa ritrovi la sua anima

Le numerose e gravi crisi, dal 2008 in poi (crisi finanziaria, Brexit, pandemia, guerra alle porte dell’Ue, crisi con gli Usa di Trump), ci dicono drammaticamente che l’Europa è a un bivio: o diventa un’Unione sempre più politica, a partire dall’eurozona, o muore. E non possiamo più evitare la seconda cosa senza realizzare la prima. Questo proprio nel momento storico in cui l’Europa è più che mai minacciata nella sua stessa identità dall’esterno e dall’interno. Dall’esterno per gli sconvolgimenti geopolitici acceleratisi con la presidenza Trump. E con l’inedita frattura creatasi fra Stati Uniti e Unione europea. Dall’interno, con l’affermarsi delle correnti sovraniste e nazionalpopuliste che intendono bloccare il progetto stesso di un’Unione politica. Attenzione: ormai non si tratta solo di euroscetticismo. Questi movimenti non solo propugnano un modello demagogico di democrazia, ma cercano di riabilitare un concetto ‘romantico’ di nazione intesa come entità naturalistica, fondata sulla discendenza dallo stesso ceppo etnico, cioè su legami prepolitici, e intendono risacralizzare i confini. Allora, questo pericolo di regressione ci deve rammentare che uno dei meriti storici del progetto dell’Unione europea, nell’Europa occidentale, poi allargato a una parte dell’Europa centro-orientale dopo il crollo del Muro di Berlino, è stato di voler superare non le patrie o gli stati nazionali di cui si trattava di limitare i poteri, ma di voler superare le due malattie che avevano portato l’Europa al rischio dell’autodistruzione: la purificazione etnica e la sacralizzazione dei confini.

Il progetto dell’Ue ha reinterpretato la natura delle zone di frontiera fra gli Stati e ha messo in campo una politica nuova dei confini: da fronti di contesa, spesso fulcri di interminabili conflitti, caldi e freddi, per il possesso esclusivo delle risorse economiche e sociali, i confini sono diventati poli di attrazione per cooperazioni economiche, ecologiche, turistiche, politiche, culturali. In una parola: i confini si sono trovati sdrammatizzati.

I LIMITI PRINCIPALI

Rimane problematico il ‘deficit democratico’ delle istituzioni europee, da superare con una ulteriore valorizzazione del Parlamento europeo nel processo legislativo comunitario e nel controllo delle attività della Commissione. Ma il ‘deficit democratico’ non va considerato più solo in senso procedurale. Va considerato in modo più ampio come ‘deficit di un’Europa dei cittadini’ ovvero ‘deficit di un’Europa sociale’. Sulla linea delle misure del post-pandemie, occorre un’Europa che protegga i più deboli, le lavoratrici e i lavoratori europei. Questa è la migliore risposta alla duplice secessione a cui assistiamo nel mondo contemporaneo euro-occidentale: quella delle élites, sempre più sconnesse dai loro obblighi per il bene comune e dall’impegno per la democrazia; e quella della gente comune, sempre più risentita verso le classi dirigenti, che sembrano aver voltato loro le spalle, e senza fiducia verso lo stesso suffragio elettorale.

LE SFIDE

La sfida principale è sviluppare la sovranità europea, compiendo l’integrazione, e l’Europa come potenza regionale, ma come ‘potenza tranquilla’, per riprendere un’espressione di Tzvetan Todorov, cioè senza pretese e aspirazioni imperiali. In quest’ottica, in particolare, sono prioritarie una politica energetica comune e la definizione di interessi strategici essenziali comuni, per la sicurezza e la difesa europea, che dovranno includere necessariamente il rilancio di una politica euromediterranea. Ma la sfida vera che sta oggi di fronte all’Unione europea continua a essere quella di costruire qualcosa di storicamente inedito. Vale a dire, una democrazia sovranazionale fondata su un doppio binario: i cittadini europei che formano la loro volontà attraverso una sfera pubblica informale e istituzionalizzata, che ha il suo vertice in partiti transnazionali e nel Parlamento europeo; i popoli di Stati europei che formano la loro volontà con la mediazione dei rappresentanti di governo e degli Stati nel Consiglio europeo e nella Commissione. La stessa persona potrebbe partecipare a questo nuovo consorzio, secondo procedure democratiche giuridificate, sia come cittadino dell’Ue sia come cittadino dello Stato membro, che potrebbe continuare ad avere il ruolo di garante dei diritti e delle libertà attraverso le costituzioni nazionali.

SOVRANITÀ NAZIONALE E UE

Non si tratta di far defluire la sovranità dalle capitali europee a Bruxelles, ma di rinforzare la sovranità di ogni stato membro rinforzando la sovranità europea, perché ognuno isolatamente sarà meno forte di ognuno all’interno dell’Unione. E la concezione, sviluppatasi sull’esempio dell’Unione europea, di una cooperazione costituente fra cittadini e Stati indica la via lungo la quale l’esistente comunità internazionale di Stati intorno alla comunità dei cittadini del mondo potrebbe essere portata a compimento in una comunità cosmopolitica.

L'EUROPA LABORATORIO

Può essere un laboratorio, l’Europa. Soprattutto per affrontare le sfide cruciali del mondo globale: governare i disordinati processi di globalizzazione economica; prospettare modalità di integrazione dinamica tra pubblico e privato, laddove hanno fallito sia il liberismo sia il dirigismo unilaterali; sviluppare la qualità della vita degli individui e delle collettività attraverso le opportune riforme ed estensioni del welfare state; riannodare i legami sociali e difendere le specificità culturali; concepire relazioni sostenibili con gli ecosistemi; porre un termine all’età delle energie fossili e rendere economicamente produttive le energie rinnovabili; intervenire sul riscaldamento globale e stabilizzare il clima del pianeta… Una strada ancora lunga e impervia, forse ormai perduta e di difficile percorribilità… Ma questo ci rimane da fare: o approfondire politicamente l’Unione, e contribuire così alla società mondiale e fronteggiare le crisi globali (ecologiche, sanitarie, economiche, sociali e tecnologiche); oppure, tornando divisi, destinarci all’irrilevanza sullo scacchiere globale.

L'EUROPA BUROCRATICA

Del resto, l’Europa è certamente diventata burocratica, tecnocratica, inchiodata ostinatamente al dogma dell’ortodossia finanziaria, al prevalere della tecnica sulla politica e nella misura in cui ha lasciato avvizzire lo slancio per l’obiettivo dell’integrazione politica. Eppure, insistendo su questo cahier de doléances, non si comprende che questo non è che il risultato prodotto dall’Europa che manca, dall’Europa che non c’è. Sono proprio il prevalere degli stati nazionali (e dei loro interessi) sulle strutture sovranazionali, dunque le divisioni interne, la mancanza di una voce unitaria sulle questioni decisive del nostro tempo all’origine della passività e dell’inerzia che stanno caratterizzando il ruolo dell’Europa nel mondo. Anche perché ci si dimentica troppo sbrigativamente che l’Europa non è un territorio, ma è innanzitutto una civiltà, un’entità storica in continua metamorfosi, che affronta in forme sempre nuove una tensione ricorrente, e mai compiuta, fra unità e molteplicità, fra identità e diversità. È la storia della continua sperimentazione di tale tensione, peraltro esportata nel resto del pianeta insieme alla scienza, alla razionalità economica, al modello amministrativo di Stato. Questa permanente tessitura della sua unità, nella pluralità, non è la sua debolezza, ma potrebbe essere la sua forza, che può proiettarla ad agire secondo l’imperativo cosmopolitico kantiano: agire come se la cooperazione in Europa possa valere e applicarsi anche ad altri spazi della comunità mondiale. Insomma, laboratorio per un possibile governo cosmopolitico, multilaterale e policentrico. Ma attenzione: l’umanesimo europeo ha due volti. L’umanesimo europeo, con fatica, ha saputo demistificarsi e smascherare il suo volto oscuro, la propria pratica eurocentrica e occidentalocentrica. Ora, noi europei dobbiamo riconoscere l’insostenibilità di questo volto dell’umanesimo e assumere rigenerare il volto dell’umanesimo che ha esaltato il valore e la dignità di ogni essere umano. Dobbiamo perseguire una mondializzazione di questo umanesimo, dell’umanesimo dei diritti umani, dei diritti delle donne, della libertà-eguaglianza-fraternità, della democrazia, della solidarietà, della pace. In questa prospettiva, ricerca, università, istruzione sono settori dove urge fare molto di più in termini di cooperazione e di integrazione di sistemi e curricoli, andando oltre la logica dello scambio di buone pratiche ed esperienze, tipo Erasmus. Occorre una ‘paideia’ europea a misura dei ‘demoi’ europei. E l’educazione è una leva fondamentale per rinforzare l’identità europea. Oggi l’Europa è sull’orlo dell’abisso. E lo è l’umanità intera. Sotto la spada di Damocle della guerra globale nucleare e del riscaldamento globale. L’Europa, oggi non più centro del mondo ma provincia del mondo. Ma di fronte alla possibilità inedita di autodistruzione dell’umanità, può divenire fucina di un umanesimo planetario imperniato sulla coscienza della comunità di destino di tutti i popoli della Terra, e di tutta l’umanità con la Terra stessa. È in questo orizzonte che l’Europa può diventare un Europa politica. L’Europa nella sua storia ha costituito un modello di civiltà inedita: se oggi saprà ritrovare la propria anima, potrà contribuire in modo significativo a umanizzare la globalizzazione. Questa volta o si fa davvero l’Europa, oppure l’Europa muore…

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