24 Marzo 2025 - 05:10
CREMONA - E sono 85 candeline per la Tigre di Cremona, ma la voce è sempre quella, il rito dell’uscita del doppio disco annuale, il mistero della sua immagine, la persistenza sulle scene proprio grazie alla sua assenza. Mina è semplicemente Mina. E alla grande cantante è dedicato il volume polifonico Mina. La voce del silenzio con sottotitolo Presenza e assenza di un’icona pop. Il riferimento del titolo va all’omonima canzone del 1968 su testo di Mogol e Paolo Limiti e musica di Elio Isola. Si tratta di una sorta di ossimoro all’interno del quale si muovono i tanti e articolati interventi, coordinati dai curatori Giulia Muggeo, Gabriele Rigola e Jacopo Tomatis.
La prefazione è firmata da Ivano Fossati che così descrive Mina, burattinaia di sé stessa: «sta nell’ombra e muove i fili delle sue maschere. Monta il proprio teatro e sale in scena quando vuole e come vuole. Al cannibale lascia solo la voce, e gli deve bastare».
Seguendo queste suggestioni fatte di assenze e di improvvise epifanie, Mina è unicamente Mina e lo è declinata nei numerosi contributi che ne mettono in evidenza gli aspetti musicali, visivi, e immaginativi. Ed è l’immaginazione che ci ha chiesto di attivare la Tigre di Cremona, da quel lontano 1978 alla Bussoladomani, dove si tenne la sua ultima esibizione dal vivo. E se l’addio alle scene è il termine post quem Mina incomincia a inventarsi il suo personaggio, il volume nella sua complessa articolazione, è un omaggio e uno studio colto, dedicato alla cantante, declinata nella sua eterogenea persistenza.
Non è un caso che i curatori affermino: «Mina è l’unica vera icona pop italiana, stilizzata in pochi tratti – un occhio, due labbra, tre nei. Mina che comunque è sempre Mina ed è riconoscibile anche quando, nell’ultimo mezzo secolo, si è nascosta alla nostra vista. Mina da ascoltare, guardare, immaginare». Sono queste le tre grandi aree tematiche all’interno delle quali si muove il volume, in cerca di afferrare l’inafferrabile, con la volontà di raccontare un fenomeno che «attraversa, in presenza e in assenza, quasi settant’anni di storia italiana – si legge -. Pochi personaggi raccontano la storia culturale del secondo Novecento italiano come lei, e pochissimi hanno saputo percorrerla da protagonisti, plasmando il mondo intorno a sé anche quando, in apparenza, non ne facevano parte».
Tale declinazione di Mina è legata al fatto di non essere una cantautrice ma ha fatto della canzone d’autore un suo vessillo, ed anzi si è essa al servizio di autori affermati come a giovani musicisti. Non è mai stata un’attrice, ma è stata a suo modo protagonista del cinema popolare italiano, ma soprattutto è entrata a forza nell’immaginario sonoro di molte pellicole italiane e internazionali. Non è mai stata un’interprete colta, ma ha ispirato compositori contemporanei e intellettuali.
«Non ha mai preso posizioni politiche esplicite, ma è divenuta un modello per le femministe e, almeno da un certo momento in poi, per il movimento Lgbtq+. Ha ispirato tutte e tutti, ma non ha lasciato eredi né allieve», si legge nell’articolata introduzione. È questa apparente inafferrabilità che contraddistingue non solo il volume in sé, ma probabilmente la stessa natura della Tigre di Cremona, artista sicuramente versatile, che non teme le sfide, ma al tempo stesso sa e ha saputo mantenere fede a sé stessa, sempre, anche nei momenti più difficili. In questo senso Mina si offre come un mondo che per essere conosciuto e attraversato ha bisogno di mappe concettuali, di itinerari che possano condurre non solo l’appassionato, ma anche chi non si è mai occupato di Mina ad apprezzarne le caratteristiche e le mille sfaccettature.
«Abbiamo organizzato i saggi di questo libro in tre parti intrecciate fra loro – scrivono i curatori -. La prima – Ascoltare Mina - si concentra sulla Mina cantante e musicista, attraversa il suo amore per il jazz, per la canzone napoletana, i suoi duetti e le sue performance più famose, le sue canzoni. La seconda – Guardare Mina - osserva Mina e il suo corpo per come si sono manifestati al cinema, sulle riviste, sui rotocalchi, in televisione. La terza – Immaginare Mina – è la controparte in ‘negativo’ delle prime due: si apre con la rinuncia a essere vista di Mina e si dedica a contemplarne l’assenza».
Tutto ciò spaziando dalle analisi delle copertine dei suoi dischi, le imitazioni e persino i puppets che hanno portato in scena Mina nella sua assenza e nella mancanza di immagini recenti, se non rubate e più raramente concesse.
Si procede per step, si parte dalle origini con una Mina in potenza raccontata da Jacopo Tomatis, per passare all’analisi delle parole delle canzoni, secondo Roberto Favaro, senza dimenticare il jazz (Francesco Martinelli), il repertorio (Paolo Prato), la canzone napoletana (Fabio Corbisiero e Pietro Maturi), ma anche i duetti con Battisti, raccontati da Jacopo Conti.
Nella sezione dedicata a Mina da guardare è Elena Mosconi, docente di storia del cinema presso il Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali, analizza la presenza della Tigre di Cremona e Lucio Battisti a Teatro 10, mentre Muggeo legge la figura di Mina come diva intergenerazionale fra tv e cinema, ma anche una precorritrice di costumi sociali che sarebbero arrivati poi, a cominciare dall’aver avuto un figlio al di fuori di un regolare matrimonio. Mentre Alessandro Pontremoli riflette sull’importanza del linguaggio della danza nella figura dell’artista, un’artista che ha saputo essere performer e entertainer al tempo stesso e in tempi non sospetti, come osserva Mimmo Gianneri prendendo in esame la presenza di Mina nella celebre trasmissione Studio Uno.
Chiude il volume la sezione dedicata a Immaginare Mina, ovvero all’assenza che si fa immagine dai mille volti sulle copertine dei suoi dischi (Gabriele Marino), oppure nel corpo abbondante e desiderio queer (Serena Guarracino), o ancora con un affondo sulle strategie mediali messe in atto fra brand e audiovisivi (Lucio Spaziante) per analizzare la piccola posta di Mina, realizzata per Vanity Fair (Francesca Cantore). Mina, molteplice Mina, un’icona, una signora indiscussa dello spettacolo che ha saputo nutrire il suo mito. Auguri, auguri, ancora auguri alla Tigre di Cremona.
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