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IL COMMENTO AL VANGELO

La Parola di Dio libera dalla barbarie

Il paradosso dell'amore divino: una chiamata alla conversione e alla grazia nella Quaresima

Don Paolo Arienti

23 Marzo 2025 - 05:05

La Parola di Dio libera dalla barbarie

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: ‘Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?’. Ma quello gli rispose: ‘Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai’».
(Lc 13,1-9)

La terza tappa quaresimale si nutre del paradosso dell’amore di Dio e fa ripensare a quel sostegno, indispensabile nella vita di Gesù, che Luca raccontava due domeniche or sono a proposito dell’ingresso del Figlio nel deserto: è lo Spirito a sospingerlo là, è Lui a dettare la regola della esposizione di Gesù alla tentazione, confermando la presenza di Dio su di lui. Il cammino della conversione non sarebbe affatto possibile se non fosse sbilanciato, diagonale, non frutto del solo confronto di forze o di autorità: un Dio che chiederebbe il rispetto di una norma e una libertà umana che fosse sola nell’adeguare la richiesta. I Cristiani chiamano ‘grazia’ la forza dell’amore di Dio riversato nel cuore dell’umanità; intuiscono nella fede che questa forza plasma la natura stessa dei figli di Dio, andando oltre addirittura i confini sacramentali delle Chiese. Come insegnava autorevolmente il Concilio Vaticano II e come è stato più volte ripreso dal magistero successivo, soprattutto da San Giovanni Paolo II. I Cristiani dovrebbero essere i custodi di questa grandissima novità che sa andare oltre le appartenenze chiuse delle religioni: perché il paradosso dell’amore di Dio è incontenibile, non è misurabile né trasformabile in una cosa che o hai o non hai, o ti guadagni o perdi. Solo alla luce di questa grande rivelazione il Vangelo può essere davvero Vangelo, ovvero una vera buona notizia. Non un’ulteriore offerta filosofica o religiosa, ma l’annuncio di un modo diverso di intuire e vivere i rapporti che regolano nel profondo l’umano, a cominciare da ciò che ci autorizza a vivere: solo il merito? Solo la fortuna, sfacciata per alcuni, drammaticamente lontana per altri? No. Proprio per niente.

Rispetto alla logica dell’azione-reazione che pare aprire il Vangelo di oggi, Luca introduce due grandi varianti. La prima: l’asse merito-fortuna (ed il suo opposto peccato-punizione) non è un criterio valido per Dio, qualsiasi cosa pensi la religione. La seconda: il tempo secondo Dio. Un tempo diverso, fatto di anni, di percorsi lunghi, di futuro piuttosto che di passato, dove la regola è il punto di vista di Dio sulla sua creatura. Ed è meraviglioso che nel cuore della Quaresima, mentre forse ancora pensiamo a come restare fedeli ad alcuni impegni di correzione che a volte sono come dei sassolini nelle scarpe o come dei macigni che premono sulla nostra debole postura umana, arrivi Luca a ricordarci che il nostro cammino non è solitario; che per Dio non partiamo solo svantaggiati e solo incapaci, o solo sterili e inconcludenti; che c’è un di più da cui non siamo né eliminati dal gioco né giudicati. Si tratta di una versione del tempo radicalmente originale e quasi completamente espunta, esiliata dalla cultura contemporanea, troppo abituata alla misura precisa ed irrevocabile del merito, o alla schiacciante spregiudicatezza della fortuna che bacia sempre quelli.

Ed è altrettanto meraviglioso che sia una parabola ad offrirci questo sguardo rinnovato di Vangelo. Sì, perché le parabole per loro intima struttura non sopportano una traduzione solo razionale delle immagini che utilizzano o delle ambientazioni che propongono. Non tutti i ‘pezzi’ vanno ‘a posto’: sopravvive sempre uno scarto, che anzi si impone in tutta la sua luminosità, come l’abbraccio del Padre misericordioso o l’isteria della donna che spazza tutta la casa o la follia del pastore che lascia le pecore nel deserto per andarsene a cercare quella perduta. Davvero il cammino quaresimale è pasquale, perché al centro non ci sono le solite fatiche umane, o le punte di eroismo di qualcuno o la durezza di cuore di qualche confessore, ma la pazienza saggia del Padre che sa quel che c’è in gioco. Lui non nasconde la possibilità di perdersi per le sue creature, ma si dà da fare, si muove, si prende cura.

Come non rimanere affascinati dal ‘di più’ evangelico di queste parole? Da quel rincorrersi di imperativi ‘taglialo’… ‘lascialo’… in cui possiamo onestamente specchiare la nostra vita, così radicalmente bisognosa di accoglienza gratuita! Siamo immersi in discorsi e messaggi giustizialisti, che invocano la perfezione (degli altri) e divengono matrice di intolleranza. Il Vangelo viene a prenderci proprio quaggiù, nel fondo di questa barbarie che dipingiamo di giustizia, e ce ne libera.

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