06 Luglio 2025 - 10:02
CREMONA - Il 10 luglio del 1944 la stazione ferroviaria di Cremona e i quartieri di Porta Milano e Sant’Ambrogio vennero colpiti da un violento bombardamento (vennero sganciate più di 50 bombe, di medio e di grosso calibro) che causò 119 morti e 89 feriti. I ferrovieri uccisi furono più di 20. Le foto mostrano parte di quei quartieri ridotti a cumuli di macerie. Come tutti gli anni anche quest’anno la città di Cremona ricorderà gli avvenimenti e le vittime di quel tragico luglio. Io vorrei, oggi, aggiungere alcune riflessioni alle commemorazioni e al compianto per le vittime.
Premetto, a scanso di ogni equivoco, che continuo a pensare essere primi responsabili di questa ed altre gravi stragi in Italia e all’estero, in conseguenza di bombardamenti aerei, coloro che la guerra hanno voluto. Il Regime nazista, quello fascista, quello nipponico, per essere chiari. Questi Regimi, inoltre, veicolavano ideologie razziste tremende, che solo in Europa portarono al genocidio di diciotto milioni di persone (di cui sei milioni di ebrei). È stato giusto quindi usare tutte le risorse possibili per salvare l’umanità da un tale abominio. Eppure, ritengo utile la discussione, avviata da studiosi certo non sospetti di simpatie neofasciste, circa l’opportunità o la necessità di certi mezzi (bombe atomiche, bombardamenti a tappeto sulle città ecc.). Il fine giustifica sempre i mezzi? Questi bombardamenti (penso soprattutto alle atomiche) hanno davvero accelerato la fine della guerra e quindi in realtà salvato vite umane? Si poteva fare altrimenti? Senza entrare nel merito di tale discussione, vorrei ricordare che le strategie militari, per certi aspetti, hanno una certa, parziale ‘neutralità’ rispetto ai soggetti che le agiscono. Voglio dire che le tecniche militari di attacco, di difesa, di calcolo dei tempi, di valutazione dei luoghi, valgono per le armate germaniche come per quelle sovietiche o anglo-americane. Certo, poi a fare la differenza è il potere politico, la formazione ideologica, l’ordine che viene ‘dall’alto’. Nulla di simile alle stragi nazifasciste nei Paesi occupati vi è stato dalla parte opposta! Su certe questioni, tuttavia, le valutazioni sono simili. Prendiamo proprio i bombardamenti aerei. L’uso delle incursioni aeree contro obiettivi civili era già stato praticato nella guerra di Libia del 1911-12 dall'Italia e poi durante la Grande Guerra ed ancora dai francesi nel 1925 contro i ribelli drusi in Siria ed i berberi in Marocco, dagli inglesi in Iraq e dagli italiani in Etiopia (con l’uso di gas venefici). Il primo teorico della guerra aerea come strumento di pressione sui civili nemici per provocare il crollo del fronte interno fu proprio un italiano, Giulio Douhet (1869-1930). I suoi manuali sono ancora oggi in adozione in tante Accademie. Il generale Douhet, la cui carriera militare fu assai travagliata (basti dire che si fece un anno di prigione per una lettera scritta a Bissolati e ad altri ministri contro Cadorna e le sue strategie!), non era certo il solo in quegli anni a teorizzare i bombardamenti massicci sulle città per vincere una guerra con tanti morti «in pochi giorni» piuttosto che combattere per tanti giorni, magari in trincea, con morti ogni giorno. Inglesi e tedeschi si disputano con Douhet la primogenitura della teoria. A prescindere, comunque, dai teorici, è stato con la Grande Guerra che nelle Nazioni belligeranti era venuta formandosi una ‘cultura della guerra’ basata sul concetto di ‘guerra totale’. La Prima Guerra Mondiale aveva insegnato sul campo che, per vincere, occorreva impegnare la società intera: le donne a sostituire gli uomini nei lavori, industria ed agricoltura finalizzate alla guerra, nessuna pietà o vincolo morale (uso dei gas, decimazioni, violenza sui civili ecc.). Molti studiosi fanno notare come la perdita di valore della vita umana sia iniziata, in dimensione di massa, proprio con la Grande Guerra. Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale era già dunque opinione diffusa negli ambienti militari che le popolazioni dei Paesi avversari rientrassero in qualche modo tra gli obiettivi legittimi del bombardamento. Questa tesi fu recepita anzitutto dall’aviazione germanica, come testimoniano i bombardamenti su Rotterdam e le città inglesi nel 1940. Anche gli inglesi, però, lo si può leggere nei loro documenti, erano convinti di questa scelta, soprattutto nei confronti dell’Italia, ritenendo gli italiani ‘psicologicamente incapaci’ di sopportare una guerra. Decisero quindi di ricorrere a bombardamenti sistematici per deprimere il morale della popolazione. Pur rimanendo perciò ufficialmente gli obiettivi delle incursioni dell’aviazione alleata prevalentemente militare, di fatto l’ampliarsi dei bersagli strategici (porti, raffinerie, strade, ferrovie, stazioni appunto) rendeva sostanzialmente impossibile mantenere una distinzione netta tra obiettivi militari e civili. Gli stessi piloti dei bombardieri nei loro rapporti si dicevano insicuri, a causa della distanza o delle condizioni meteorologiche, di aver centrato con precisione l'obiettivo fissato. I ‘danni collaterali’ quindi vennero accettati come dati di fatto. L’impersonalità della morte che viene dall’alto ha poi aiutato a dimenticare, o quasi: comunque è diversa la memoria rispetto alle stragi di terra.
In conclusione: militari di ambo le parti, fermo restando le differenti ragioni generali che ne ispirarono la condotta (ed il conseguente nettissimo giudizio di condanna del nazifascismo), finirono per infliggere sofferenze e patimenti alla popolazione civile. Così come avviene oggi in Ucraina, in Palestina ed in altre parti del mondo. Questo spiega in gran parte l’articolo 11 della nostra Costituzione, laddove si ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali (a prescindere da chi abbia ragione o torto) e ci si affida ad organismi sovranazionali (come l’ONU, purtroppo oggi messo nelle condizioni di non poter agire) per dirimere le eventuali vertenze. Anche da questo punto di vista la nostra Costituzione si rivela straordinaria. Se davvero lavorassimo per attuarla ne guadagnerebbe il mondo.
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